DON BENVENUTO COMMENTA LE LETTURE DELLA 7ª DOMENICA DOPO PENTECOSTE

“Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli. Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio”. Queste sono le parole con cui abbiamo pregato nel salmo dopo la prima lettura. Queste parole ci ricordano che a volte capitano certi avvenimenti così grandi e così meravigliosi che non possono e non devono essere dimenticati. Vanno ricordati bene e vanno tramandati, cioè consegnati alle generazioni future. E’ normale che, quando siamo andati a scuola, i nostri maestri ci abbiano fatto studiare le guerre di indipendenza, il risorgimento, la vittoria della guerra del ’15-’18, la resistenza al fascismo e tante altre cose. Il motivo è che quello che noi siamo oggi e quello che noi abbiamo è qualcosa che abbiamo ricevuto in dono, è qualcosa di grande per cui dobbiamo ringraziare le generazioni passate: tra di loro tante persone hanno sacrificato anche la loro vita. Non possiamo e non dobbiamo dimenticarle. Poi ci sono alcune cose che ci aiutano a ricordare non solo gli avvenimenti del passato ma a vivere oggi quello che ci è stato donato, per esempio il valore della libertà e del benessere economico: ci sono alcune date da ricordare come il 25 aprile, il 2 giugno e ci sono i monumenti ai caduti. Sono qualcosa che aiutano tutti noi che non siamo stati protagonisti diretti di quegli avvenimenti avvenuti un secolo fa, più o meno, a fare memoria di quanto è successo. Queste cose le chiamiamo “memoriali”: un aiuto a ricordare avvenimenti del passato per vivere meglio oggi, imitando i nostri padri che hanno affrontato molti pericoli e molte fatiche, ma le hanno superante con tanta fiducia in Dio.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato proprio la storia di un “memoriale”: Giosuè ha eretto un mucchio di pietre, dodici per l’esattezza: un mucchio solo fatto da dodici pietre prese dal fiume Giordano per significare che il popolo è uno solo ma formato da dodici tribù diverse e che hanno attraversato il fiume nel quale potevano anche trovare la morte e invece ne sono usciti sani e salvi. E se il popolo ha continuato a vivere e a prosperare è perché quegli antichi uomini hanno attraversato coraggiosamente un fiume pericoloso solo confidando nell’aiuto del Signore. È come dire che anche oggi, se vogliamo attraversare i pericoli e le insidie che la vita ci pone davanti e continuare a vivere dobbiamo avere una grande fiducia in Dio che ama i suoi figli e li protegge perché li ama e non perché sono particolarmente abili o forti o autosufficienti. Sono i suoi figli e basta. Dio li ama così come sono.

Gesù nel Vangelo ci dice le stesse cose: interrogato sul numero di coloro che si salvano, Gesù non risponde, non si sofferma sul numero ma dice come si fa a salvarsi. Solo che Lui parla non di una salvezza temporanea come quando nella vita siamo scampati da qualche pericolo o siamo guariti da una malattia e diciamo: “Mi sono salvato” o parlando di un medico bravo si dice: “È lui che mi ha salvato!”. Qui invece si parla di una salvezza eterna, di quella salvezza che avviene alla fine di tutta la storia umana.

Si parla di alcuni che accampano dei diritti: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze!”. Pretendono di entrare in forza di una antica conoscenza o amicizia o parentela e dicono: “Signore, aprici!”, ma si sentono rispondere: “Non so di dove siete! Allontanatevi da me!” e vengono cacciati fuori. Molti altri invece non bussano, non pretendono di entrare, non pregano, non dicono di aver conosciuto di Dio, non chiedono niente ma sono semplicemente figli, generati da Dio Padre, sono tantissimi e “verranno da oriente a occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio”. Così la situazione si capovolge e questo, a tanti, fa paura.

Fa paura perché a noi è giunta la parola di Dio, noi preghiamo, noi ci siamo comportati bene e quindi corriamo il rischio di presentarci a Dio accampando dei diritti dicendo: “Ma io ho pregato tanto, mi è costato essere onesto in tutta la mia vita, sono battezzato e cresimato!” per poi sentirci dire: “Non ti conosco!”. Ecco noi, i primi, che diventiamo ultimi. Se invece ci presenteremo a Dio dicendo: “Eccomi, sono tuo figlio, se ho fatto qualcosa di bene è perché tu mi hai guidato, se ho fatto qualcosa di male tu mi comprendi e mi perdoni. Ma io confido in te perché sei mio Padre!”. Queste sono le parole che ci faranno a aprire la porta del Regno eterno. Saremo insieme a tutti gli ultimi che in quel momento diventeranno i primi.

Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio e Morterone

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