I numeri racchiudono da sempre un certo fascino tra l’alludere, suggerire e celare simboli e comunicazione. Sia il parlare comune che l’esprimersi alto, come la consuetudine biblica ha fatto uso della loro immediatezza allusiva. Ben sappiamo: il sette è nota di completezza, il tre di perfezione, il quaranta di prova e fatica aodici del popolo d’Israele e così via.
Anche il quattro comunica suggerendo l’intero ae mondo, la natura con l’ampiezza delle sue dimensioni che siamo abituati a sintetizzare nei punti cardinali. Questo quattro mi sale alla mente quando con i ragazzi in questi giorni d’estate seguiamo la traccia di riflessione imparando a meravigliarci del dono delia creazione tutta. Ezechiele, nella sua visione, presenta i carro dei cherubini o dei quattro esseri viventi come poi ìi chiamerà anche Giovanni nell’apocalisse ponendoli attorno al trono. Ireneo di Lione li reinterpreta nel vangelo tetramorfo come caratteristiche di Cristo e del vangelo di Gesù, unico e quadriforme, in opposizione al pullulare degli apocrifi.
Gerolamo due secoli dopo ne fa segni didattici che indicano proprio ciascuno dei quattro evangeli. Matteo che principia con la genealogia di Gesù ha l’uomo, il leone ricorda la voce dai deserto del Battista, il vitello il sacrificio di Zaccaria sull’inizio di Luca e l’aquila, con il suo volo altissimo e la vista penetrante che sfida il sole, richiama l’alta teologia di Giovanni. Naturalmente a tutt’e quattro son date ali a significare che la “sacra quadriga” non descrive, piuttosto lancia richiamo di trascendenza.
Proprio per questo mi piace ricordare questa associazione di simboli che si mischia con l’allusione biblica a dire che l’unico vangelo di Gesù, nelle sue quattro forme abbraccia l’intero mondo o se vogliamo ne traccia il senso nella solidità dell’appoggio. Questo simbolismo non è tanto richiamo alla natura del mondo e dell’universo secondo una cosmicità fisica, quanto a quella redenta dalla morte e risurrezione del Signore Gesù.
Parroco di Ballabio
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