IL RE DAVIDE. Di solito è facile immaginare un re seduto sul trono e circondato dai suoi ministri e dai dignitari di corte. Lì riceve gli inchini, i saluti, i doni. Così viene onorato e rispettato. Da lì esercita il suo potere. E anche il re e i suoi familiari sono tenuti a rispettare un rigido protocollo di corte: devono fare certe cose perché così le vogliono le tradizioni della casa reale. Questo non succede con il re Davide, almeno come lo vediamo oggi. Oggi lo vediamo in un giorno di grande festa, una festa popolare segnata da una grande gioia: l’arca dell’alleanza, segno della vicinanza di Dio fin dal tempo di Mosè, viene accompagnata solennemente nella tenda che Davide aveva preparato nella città di Gerusalemme, che lui aveva da poco conquistato. Il tempio non esisteva ancora in Gerusalemme. L’avrebbe costruito suo figlio Salomone qualche anno dopo. In questo giorno di festa Davide rompe i protocolli di corte, scende in mezzo al popolo, salta e balla così tanto da sembrare esagerato e fuori di sé. Lo diciamo anche noi che qualche volta si può essere “pazzi di gioia”. Davide, quel giorno, era proprio così! E quando sì è fuori di sé dalla gioia si possono anche fare cose strane, proprio come Davide in quel giorno, cose di cui sua moglie Mical l’ha accusato: un re senza un po’ di pudore e di rispetto, un re “che si scopre davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si scoprirebbe un uomo da nulla”, un re che non sta al suo posto, un re chiamato a stare in alto per comandare e farsi obbedire e invece si abbassa al livello dei suoi servi. Questo è Davide che vogliamo ricordare oggi: disprezzato da quelli della sua corte perché si è abbassato al livello dei suoi servi per far festa con loro, e insieme fare festa per il Signore!
L’immagine di questo re un po’ strano che non teme di abbassarsi e fare quello che fanno i suoi servi può aiutare tutti noi a riflettere sulle importantissime parole di Gesù!
Gesù ha appena chiesto ai suoi discepoli: “Ma voi chi dite che io sia?” E Simone risponde prontamente: “Tu sei il Cristo!” cioè il Messia! E Gesù chiarisce subito chi è il Messia: uno che si abbassa al livello dei servi e degli schiavi al punto di condividere le loro sofferenze, le loro ingiustizie e la loro morte. Ma tutto questo per Simon Pietro è inaccettabile e incomprensibile. Non solo, ma si permette di prendere in disparte Gesù e di rimproverarlo, vuole insegnargli cosa deve fare il Messia, un po’ come Mical, la moglie del re che voleva insegnare a Davide come deve comportarsi un vero re! Allora anche Gesù rimprovera Pietro e gli dice: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
È a questo punto che Gesù si rivolge a tutti, discepoli vicini e folla di passaggio, e dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua!”. Fino a quel giorno Gesù era ricercato come un guaritore eccezionale, un maestro sapiente e intelligente, una persona buona e affabile, un vero amico.
Da quel giorno le cose cambiano: seguire Gesù ora è una scelta libera e consapevole. Non può più avvenire perché si è trascinati dall’entusiasmo della folla o perché si desidera qualche dono particolare come qualche guarigione di ammalati. Gesù non obbliga nessuno a seguirlo, tutto deve avvenire nella massima libertà. Tutto questo ci invita a riflettere e a rispondere seriamente alla domanda: ma io, oggi, perché seguo Gesù? Perché sono cristiano?
Ma non solo: seguire Gesù vuol dire essere consapevoli che lui è il Messia sofferente e ingiustamente condannato a morte. Dunque seguire Gesù vuol dire anche condividere il suo destino, quello che Gesù chiama “prenda la sua croce e mi segua”. Allora è comprensibile che tanti si tirano indietro. Anche oggi tanti si meravigliano che le cose non sono più come una volta e la fede viene sempre meno! Non c’è nulla da meravigliarsi: se si tratta di seguire un Messia che va a morire sulla croce e invita chi lo segue a portare la sua croce, è normale che uno si lasci prendere dalla paura!
Ma poi, se ci si tira indietro per paura dove di va a finire? Che cosa si guadagna? Esiste forse un altro Messia un po’ meno esigente del Messia Gesù di Nazareth? Insomma che cosa dobbiamo fare nella vita? Che senso ha la nostra vita? Quanto vale la nostra vita? Che cosa possiamo fare per tenercela stretta il più a lungo possibile? Perché a un certo punto sembra che la perdiamo con la nostra morte? A queste domande così impegnative non si possono dare risposte immediate da imparare a memoria. Sono domande che invitano ciascuno di noi a riflettere seriamente e a lungo per comprendere in modo convinto, magari dopo molti anni, che seguire Gesù è la scelta migliore che ognuno di noi possa fare per conservare, o “salvare”, la propria vita.
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio
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