Pasqua, la più grande festa dell’anno liturgico, fa memoria, non solo ricorda, cioè; ma rifà presente il mistero, il dono, della morte e risurrezione del Signore Gesù; ripresentandolo ce ne fa partecipi, ci mette dentro questo stesso dono. Nella notte pasquale i catecumeni ricevono il battesimo – nella fede della Chiesa – con l’immersione nel fonte battesimale; tutti noi ricordiamo nella stessa celebrazione il nostro battesimo. Il nostro non è ricordo storico, memoria come richiamo alla mente, ma è l’immersione più vera nel dono del Signore e si completa per noi, oggi, nell’eucaristia: mangiamo la Pasqua facendo nostro cibo il Corpo ed il Sangue del Signore.
L’immergerci in Cristo del Battesimo ci rigenera nella vita divina e l’Eucaristia ce ne alimenta. Se l’antico Israele si cibava dell’Agnello come promessa di libertà e segnava col suo sangue gli stipiti di case ormai non più dimora di schiavitù: da abbandonare per libertà nuova; noi mangiamo la Pasqua dell’agnello vero, immolato per noi: Cristo Signore. Lui non apre a libertà da ferri di schiavitù, ma dona addirittura vita nuova, vita divina. Cristo che si immola per noi ci mostra il senso profondo della nostra fede pasquale che è scoprire la sua vicenda d’amore: un amore che vince la morte e si offre a noi proprio come vittoria sulla morte a dirci vita nuova, vita di Dio.
Proprio perché immersi in questo dono divino, la vita che ci è donata ha bisogno, a sua volta, di donarsi per acquistare pienezza; proprio come avviene nel Signore Gesù sulla croce e come è nella realtà profonda di Dio: del Padre, del Figlio, dello Spirito che si effondono nel dono: nel creato, nella Chiesa, nell’uomo. La Pasqua, a noi dono del Signore, chiama, noi pure, a farci dono.
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parroco di Ballabio