Questa domenica è liturgicamente della “passione”. Nella tradizione romana, proprio qui, è evocata quella del Signore Gesù con l’intera lettura della narrazione evangelica. Da noi la cena di Betania, benché offerta con desiderio riconoscente e affettuoso di gioiosa celebrazione sino alla tenerezza generosa di Maria; è pure letta – dalle parole grevi del Signore – in preannuncio di morte, dunque, ci conduce alla passione.
È però presente anche l’altra celebrazione, quella delle “palme”; san Giovanni la narra in un continuum con la stessa cena di Betania che è significativamente rievocata col liturgico rosso – ricordiamolo – l’antico colore del lutto. La nostra liturgia, in forte densità evocativa, non abbandona dunque il tema della passione, ma lo legge intrecciandolo alla sottolineata meditazione della regalità di Gesù. Infatti la regalità del Signore, non è tanto proclamazione di dignità superiore o di preminenza d’onore e di fama, quanto assunzione di responsabilità, presa d’impegno; caricarsi della fragilità dell’uomo, del peccato del popolo, dell’umanità intera: la regalità di Cristo si esprime proprio sulla croce.
Il segno dell’entrata in Gerusalemme sull’asinello mite come re di pace, già annunciato dai profeti, è particolarmente sottolineato dal quarto vangelo e non a caso, letto in questa domenica. Nel vangelo di Giovanni le attenzioni ai segni regali sono particolarmente intensi di contro alla genericità dei sinottici, solo lui dice i rami siano di palma, l’albero regale. Lo stesso evangelista presenta la croce come “gloria”, evidenza dell’amore di Dio oltre ogni ragionevolezza e limite: vita donata nell’atroce supplizio di morte.
Il giubilo di fronde delle folle di Gerusalemme attorno a Gesù è certamente gioia e speranza nel riconosciuto Messia, ma inconsapevole proclamazione di un re di una gloria che non è “di questo mondo”, ma dono della vita per l’umanità e per il mondo.
Parroco di Ballabio
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