Nel tempo di Natale abbiamo proclamato la nostra fede nel Figlio di Dio che si è incarnato e molte volte abbiamo sottolineato il fatto che, così facendo, ha condiviso tutto e ha santificato tutto quello che c’è di buono nella nostra vita tranne il peccato di disobbedienza alla volontà del Padre suo e Padre nostro.
Cosa c’è di più bello della famiglia senza la quale non saremmo nati e non saremmo cresciuti? Così anche il Figlio eterno di Dio è entrato nel mondo stando nove mesi nel seno di Maria di Nazareth, sposa di Giuseppe che lui ha chiamato papà, ha avuto una casa a Nazareth in mezzo a tante altre case, è cresciuto come tutti i bambini, ha imparato a poco a poco a parlare, a giocare, a pregare, a lavorare. Ha condiviso la vita di tutti i suoi compaesani, ha frequentato di sabato la sinagoga, luogo di preghiera per i figli di Israele, è cresciuto spiritualmente condividendo la mentalità e la spiritualità dei poveri israeliti che confidavano solo in Dio e aspettavano da lui solo la salvezza. Tutto questo per circa trent’anni.
Ci chiediamo: come mai nessun Vangelo ci parla di questo lungo periodo vissuto a Nazareth? Ma dobbiamo accettare con serenità questo fatto. Anzi, è bello poter dire che anche nelle nostre famiglie ci sono momenti belli, intimi e felici che non è opportuno manifestare pubblicamente ma è bene conservare nella nostra memoria: fanno parte di noi stessi e sentiamo che non si possono descrivere in modo adeguato. Questo vale anche per la famiglia di Giuseppe e Maria con Gesù. Come avranno manifestato i loro affetti? Come avranno tenuto la loro casa? Cosa si saranno detti durante i loro colloqui? Come avranno passato le loro serate? Fermarsi un po’ e cercare di immaginare come saranno andate tutte queste cose nella famiglia di Nazareth non è pura fantasia e immaginazione, è invece un modo di pregare e di contemplare il mistero della incarnazione del Figlio di Dio.
Di questi trent’anni l’evangelista Luca ci racconta un solo episodio dopo i racconti che riguardano la nascita di Gesù. E’ quello che abbiamo ascoltato oggi nel Vangelo.
Per Gesù è stato un momento di svolta nella sua vita. A dodici anni ha preso una sempre più chiara consapevolezza di chi è e da dove viene e della missione che dovrà compiere da grande. Non ha avuto alcun timore di dire: “Devo occuparmi delle cose del Padre mio”. E ha detto queste parole proprio alle persone che l’avevano accolto e cresciuto con tanto amore per tutti quegli anni. Non saranno state parole piacevoli da sentire ma le hanno accolte umilmente, come erano abituati a fare tutte le volte che la volontà di Dio si manifestava in un modo o nell’altro. Gesù non è stato né leggero né distratto. Quella è stata l’occasione in cui il dodicenne Gesù è stato abilitato a leggere la Scrittura. Gesù non poteva non innamorarsi dei libri della Scrittura. Infatti la Scrittura parla di lui, sia delle opere meravigliose che lui avrebbe fatto da grande sia del suo destino di sofferenza, morte e risurrezione che avrebbe compiuto a suo tempo. Gesù non è stato in giro a curiosare al mercato o ad ammirare le bellezze del tempio. Era invece in mezzo ai maestri per ascoltarli e interrogarli. Così ha manifestato a loro la sua sapienza fuori dal comune e loro si sono stupiti per la sua intelligenza e le sua risposte. E’ stato un momento in cui Gesù ha subito il fascino della Parola di Dio che si è manifestata attraverso la Legge di Mosè, i Salmi e i Profeti.
Ma dal punto di vista di Maria e Giuseppe è stato un momento drammatico. Il primo giorno è stato normale pensare che Gesù fosse con gli altri ragazzi della carovana. Non erano preoccupati perché la carovana era un insieme di famiglie conosciute, a suo modo era una grande famiglia. Ma il secondo giorno sarà stato un momento di grande angoscia. Si saranno sentiti in colpa per aver perso un figlio così prezioso che Dio stesso aveva affidato a loro, si saranno sentiti inadeguati nel loro compito di genitori, feriti nel loro affetto più profondo. Alla fine lo ritrovano, sereno e tranquillo, ma Maria fa notare: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”.
Poi la vita riprende in tutto come prima: Gesù torna ad essere figlio obbediente e sottomesso, ha davanti a sé ancora lunghi anni di crescita nella casa e nel villaggio di Nazareth, ha ancora tante cose da imparare, Maria e Giuseppe hanno preso maggiore consapevolezza della volontà di Dio nei loro confronti e con umiltà accettano tutto.
E così, con questa umiltà e ricerca della volontà di Dio, nel rispetto reciproco e nella collaborazione, Gesù Maria e Giuseppe, uniti in una sola famiglia, diventano modello da imitare per tutte le nostre famiglie.
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio
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