DON BENVENUTO COMMENTA LE LETTURE: OTTAVA DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: “Samuele, Samuele!”. Il piccolo Samuele stava dormendo nella tenda che era stata preparata per custodire l’arca dell’alleanza. Il Signore voleva servirsi proprio di lui per fare quello che aveva in mente. Sceglie di chiamarlo di notte, delicatamente. Il sacerdote in carica l’ha istruito bene. Lui era sicuro che era Dio stesso a chiamare questo bambino e gli ha suggerito una bella risposta: “Parla, o Signore, perché il tuo servo ti ascolta!”.

E il Signore ha detto a Samuele parole molto dure: erano parole di punizione per il sacerdote Eli che non ha saputo intervenire con mano ferma per correggere i suoi figli che si comportavano male proprio lì, in quel luogo dove la gente andava a pregare Dio. La Bibbia dice che quei figli, Ofni e Pincas, si appropriavano esageratamente e senza rispetto delle offerte che le persone volevano offrire al Signore. Non solo, ma abusavano anche delle donne che si avvicinavano alla tenda del Signore. Purtroppo il loro padre Eli non ha saputo frenarli e correggerli. Ma Dio vuole imprimere una svolta radicale per educare il suo popolo alla fedeltà all’alleanza. Allora decide di punire quei due uomini corrotti ma mette da parte anche Eli con la sua inettitudine.

Il piccolo Samuele, presto, prenderà il loro posto. Samuele era ancora un bambino, stava ancora crescendo, eppure tutto il popolo capì che era stato scelto dal Signore per essere suo profeta, cioè uomo che ascolta la parola che Dio gli rivolge e la trasmette fedelmente al popolo. “Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole”. Veramente Samuele per tutta la sua vita fu uomo retto e saldo nella parola del Signore, una vera guida del popolo, al pari di Mosè e di Giosuè. Tra le cose grandi che ha fatto, quando ormai era vecchio, fu quella di ungere, cioè consacrare, un altro bambino di nome Davide: lui sarebbe diventato il grande re di Israele.

Circa mille anni dopo, Gesù, che veniva da Nazareth ma era ancora sconosciuto alla gente, mentre passeggiava sulla spiaggia del lago, stava pensando cose grandi che sarebbero avvenute secoli o millenni dopo. Stava pensando anche alla comunità dei suoi fedeli, oggi diffusi in tutto il mondo. Stava pensando anche a noi che ci raduniamo a fare memoria di lui con il gesto dello spezzare il pane e siamo parte della medesima famiglia perché ci sentiamo spiritualmente uniti al successore di Pietro.

Ma per un progetto così grandioso, che coinvolge tutto il mondo e segnerà profondamente tutta la storia mondiale, che cosa fa? Vede due fratelli, Simone e Andrea, che stanno lavorando. Essendo pescatori promette loro un futuro meraviglioso proprio come pescatori, ma pescatori di uomini, non di pesci. “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. La stessa cosa dice ad altri due fratelli, Giacomo e Giovanni. Di questi due, Giovanni era poco più che un ragazzo. Qualche anno i membri del tribunale supremo, chiamato Sinedrio, vedendo Simone e Giovanni li riconoscono come quelli che erano stati con Gesù ed erano persone “semplici e senza istruzione”. E come mai avevano tanto seguito in mezzo alla gente comune? E dove trovavano la forza di guarire tanti malati?

Dopo aver ascoltato la vicenda di Samuele, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, possiamo trarre una conclusione: “Quando Dio vuole fare qualcosa di grande nella vita delle persone o nella storia del mondo, sceglie sempre persone semplici e deboli, che siano strumenti docili nelle sue mani”. Il motivo è semplice: dove più grande è la debolezza umana, risplende con più chiarore la potenza e la grazia di Dio.

Questa è più che una semplice conclusione, è la legge che guida la storia universale. L’esempio più bello è quello di Maria, piccola, umile e semplice. Con il suo sì a Dio ha impresso una svolta nella storia del mondo diventando la Madre del Salvatore Gesù. Questo modo di pensare dovrebbe avere un grande influsso anche sulla nostra vita personale: non dovremmo mai temere le nostre debolezze e le nostre mancanze, né tanto meno averne vergogna. Sono, nella nostra vita, lo spazio e l’occasione che diamo a Dio per manifestarsi più pienamente con la sua grazia e il suo amore. Dovremmo arrivare anche noi, come l’apostolo Paolo, a vantarci delle nostre debolezze e dire con lui: “Quando sono debole, è allora che sono forte!”.

Don Benvenuto Riva parroco di BallabioDon Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio

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