Questo apostolo, Tommaso, è lo stesso che tre domeniche fa, quando abbiamo letto il vangelo della risurrezione di Lazzaro, ha esortato gli altri apostoli dicendo: “Andiamo anche noi a morire con Lui!”. Era un uomo generoso, che non voleva abbandonare Gesù nel momento del pericolo. Oggi ci appare come un uomo concreto, con i piedi per terra, un uomo che ragiona e dunque non è disposto tanto facilmente a credere alla favole anche se a lieto fine, raccontate tanto per incoraggiare e consolare. Così doveva apparire agli occhi di Tommaso la storia della risurrezione di Gesù: una bella invenzione fatta per consolare il dolore per la perdita di un amico. Le sue parole ci sembrano ardite e anche di cattivo gusto: “Se non vedo nelle sue mani… se non metto il mio dito nel segno dei chiodi…”. Eppure ci attraggono e ci piacciono, forse perché sono parole di un uomo che sente che la fede è una cosa grande e molto seria, sulla quale non sì può essere superficiali. Tommaso è un uomo che fa fatica a credere e questo ce lo fa sentire vicino: anche noi facciamo fatica a credere e coltivare la fede che ci hanno trasmesso.
Gesù gli viene incontro, possiamo dire che sta al suo gioco, lo invita pure a mettere il suo dito nel segno dei chiodi, a mettere la sua mano nel fianco, ma gli ricorda che avrebbe dovuto credere anche senza arrivare a questo punto. Ma davvero Gesù pretende che avrebbe dovuto credere senza vedere, senza essere un po’ ragionevole? No! Di fatto Tommaso ha visto e sentito molte cose: ha visto la potenza della parola di Gesù che ha calmato il mare in tempesta, era presente quando ha risuscitato Lazzaro, era presente quando Gesù ha saziato una folla di cinquemila persone benedicendo solo cinque pani e due pesci, ha sentito più volte che Gesù aveva parlato della sua sofferenza, della sua morte e dopo tre giorni della sua risurrezione.
Quest’uomo buono e pratico, certo per il grande dolore, aveva dimenticato tutto. Doveva già sapere che il datore della vita non poteva essere prigioniero della morte. Doveva già sapere, in base alle Scritture che lui conosceva, che il Messia aveva un destino di gloria e di vita.
E invece ha preteso di vedere il segno dei chiodi e Gesù glielo ha fatto vedere e l’ha invitato a credere. Allora Tommaso esce con una bellissima e semplice professione di fede: “Mio Signore e mio Dio!”. Ora tocca a noi: anche noi non siamo chiamati a credere senza vedere. Apriamo gli occhi del cuore e rendiamoci conto di tutte le opere di Dio in noi e attorno a noi. Sono tutti segni del suo amore per noi. E alla fine, per esprimere la nostra fede e il nostro amore riconoscente diciamo anche noi, come Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio
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–> avvisi 28 aprile 2019