“MALAMONTAGNA”, QUANDO IL SOGNO SFIORA LA TRAGEDIA. TESTIMONIANZA SUL CASO IN GRIGNETTA

PIANI DEI RESINELLI – Dal buio del sentiero carrabile che giunge al rifugio Soldanella dalla Traversata Bassa ai Resinelli, arriva un richiamo: “Aiuto, aiuto!”. Invocazione che viene raccolta da un gruppetto di quattro persone che si precipita verso la voce, nella tarda serata di sabato. “Era un ragazzo sulla trentina, portava uno zaino enorme. Indossava un frontalino a led e aveva un gatto in spalla; lì per lì, non riuscivamo a capire la situazione” racconta una dei quattro, testimone dell’evento di sabato sera – quando una ragazza prima cercata al Dito Dones e poi rintracciata nel canalone Porta è stata tratta in salvo dall’elicottero.

Stiamo per raccontare un caso tipico e sempre più frequente di “malamontagna”, figlio di una attrazione vissuta con il filtro del sogno e delle immagini social, senza considerare come la montagna sia IN REALTÀ: con le sue regole, le proprie asperità. Un ambiente che richiede conoscenza, esperienza e mai e poi mai deve essere sottovalutato. VUOLE RISPETTO.

Il fascino della gita in quota non è solo nei panorami mozzafiato, ma soprattutto nella sfida con se stessi che si attua proprio nell’osservanza di alcuni punti: l’attrezzatura adeguata alle proprie capacità [a sinistra, escursione con gli stivali in Grigna, 2017],  informazioni sulle condizioni meteo specifiche di zona per evitare che maltempo, nebbia e cambi repentini di temperatura ci mettano improvvisamente in difficoltà, conoscenza approfondita dei luoghi dove ci si vuole inoltrare e non ultimo le abilità proprie e dei compagni di viaggio.

Conditio sine qua non, viene da dire per citare il latino.

Torniamo a sabato sera. “L’uomo sembrava frastornato e provato, parlava senza fermarsi – prosegue la testimone nel suo racconto a BN -. Lamentava la sua disavventura, scaricandone la responsabilità su una ragazza che lo avrebbe portato al bivacco Ferrario in Grignetta, promettendo un’esperienza bellissima”. Ma quando è stato chiaro che in montagna in pieno inverno di sera e di notte, guarda caso, c’è il vero freddo, lui ha deciso di ridiscendere – lasciando indietro la compagna, anzi maledicendola per la situazione in cui aveva cacciato lui e soprattutto il suo povero gatto intirizzito. Perciò adesso urgeva conoscere la via più breve per la stazione (!), perché lui di felini ne aveva altri ad aspettarlo a casa. Richiesta strana, poiché ai Resinelli c’è una unica fermata di capolinea, per una manciata di corse giornaliere e non certo serali.

Allarmato, il gruppo si è subito preoccupato per le condizioni di salute dell’uomo, poiché questo affermava di essere caduto più volte sul percorso del ritorno (e pure per quelle della compagna “fantasma”). La catena del soccorso, in quel momento, non era ancora scattata.

Sulla persona che l’accompagnava, l’escursionista ha minimizzato suggerendo di stare tranquilli perché di lei si stavano già occupando a suo dire “i ragazzi dell’oratorio”, incontrati poco prima.

In effetti proprio all’inizio del canalone Porta si trova la baita Segantini (foto estiva, archivio BN), struttura gestita dalla parrocchia di Ballabio: la spiegazione era quindi plausibile. Perciò il quartetto, appurato che l’uomo fosse in discreta salute, lo saluta suggerendogli caldamente di rivolgersi al rifugio o in alternativa ad altri locali dei Resinelli.

Mentre accadevano questi fatti, qualcuno invece lanciava l’allarme per la giovane donna “dispersa”. A quanto pare viene suggerito (erroneamente) il Dito Dones quale luogo di incrodamento. Arriva quindi l’elicottero attrezzato per il volo notturno a perlustrare a lungo la zona. Dopo un bel po’ il velivolo correttamente si sposta sul canalone dove recupera la ragazza per portarla all’ospedale Sant’Anna di Como.

Ai Resinelli nel frattempo sono giunti i mezzi dei Vigili del Fuoco, quelli del Soccorso Alpino e i carabinieri che hanno identificato il moldavo con il gatto. Per ultima viene inviata anche l’ambulanza della Croce Rossa di Balisio a cui vengono affidati l’uomo e anche il micio, condotti non proprio in stazione, ma al ‘ Manzoni’ di Lecco, per gli accertamenti del caso.

Le cronache degli ultimi giorni, a quanto pare, ci dicono che i nosocomi italiani si debbano abituare alla presenza nelle loro corsie di felini. Ma soprattutto la vicenda nostrana ci racconta di come la montagna, vista dalla città, risulti come deformata e semplificata; ci avvisa inoltre della necessità di maggiore consapevolezza.

Perché frequentare le vette è bello, affascinante ed emozionante, ma rispettando quelle regole che non s’imparano sui social, ma dalla gente che in montagna ci vive e ci lavora.

Una bella telefonata al rifugio più vicino per chiedere informazioni, prima di avventure improvvisate, può salvare la vita e non far sprecare migliaia di euro pubblici, ché non ce ne sono tanti e casomai è sempre meglio vengano spesi per casi di vero pericolo.

N. A.

 

 

*In copertina immagine da www.gulliver.it