DON BENVENUTO COMMENTA LE LETTURE DELLA 5ª DOPO L’EPIFANIA

Nei Vangeli ci sono tanti racconti che parlano di Gesù che guarisce gli ammalati. Gesù risponde prontamente a chi lo invoca immerso nel dolore, un dolore che può essere fisico ma anche nello spirito. Alla richiesta di questo centurione risponde subito: “Io verrò e lo guarirò”. Si trattava di un servo che gli era molto caro ma si può pensare anche a suo figlio: il testo originale lascia intendere che potrebbe essere anche così. Il centurione era molto preoccupato e addolorato e Gesù risponde subito con la sua premura e la sua compassione. 

Possiamo fermarci un momento per pensare agli ammalati che sono tra noi: chi sono? Dove sono? Li conosciamo? Sono un “affare privato” che ciascuno affronta come può? La nostra fiducia è solo nella medicina e nel pronto intervento o siamo aperti alla spiritualità come ha fatto il centurione che si è rivolto a Gesù dal profondo del suo dolore? Però bisogna anche sottolineare che c’è una differenza fondamentale tra noi e gli ammalati del Vangelo: loro non conoscevano ancora pienamente Gesù perché non aveva ancora compiuto la sua opera di salvezza morendo in croce, risorgendo e donandoci lo Spirito Santo. Noi conosciamo tutto questo quindi la sofferenza nostra e dei nostri ammalati è illuminata dalla sofferenza di Gesù sulla croce: chi lo ama è disposto a seguirlo anche nell’imitazione della sua sofferenza. 

Ma nel racconto di oggi c’è qualcosa di veramente straordinario che non si trova negli altri racconti. Quest’uomo, che non appartiene al popolo ebraico e non è cresciuto nella pratica dei comandamenti dati a Mosè sul monte Sinai, non si è limitato a chiedere l’intervento di Gesù. Lui ha fatto qualcosa di nuovo che nessun altro aveva fatto: ha avuto l’intuizione della parola potente di Gesù , una parola efficace e creatrice, portatrice di salvezza. È partito dalla sua esperienza militare: nella vita militare gli ordini vanno eseguiti senza discutere. Lui era il primo ad obbedire prontamente ai suoi superiori e quindi esigeva di essere 

obbedito da chi stava sotto di lui: i suoi servi o altri militari di grado inferiore. Un ordine militare deve avere effetto immediato! Il centurione aveva già capito che Gesù non era uno che, quando parlava, diceva parole vuote o inutili. La sua parola era potente: quello che diceva faceva, quello che diceva si tramutava in fatto reale! Quindi quell’uomo ha confidato nella potenza della parola di Gesù! Questo ha reso Gesù estremamente contento: con il suo elogio ha espresso il punto di arrivo cui voleva portare anche i discepoli che gli erano vicini ed è lì che vuole portare anche ciascuno di noi: a questa fede totale e incondizionata in Lui! 

Ma dopo avere lodato quella grande fede che lo ha reso felice, anche se non proveniva da un israelita ma da un pagano, si lascia andare ad alcune affermazioni che possono anche rallegrarci ma in un certo senso ci fanno anche paura! Dicendo “molti verranno da oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” in realtà cosa vuole dire? Si riferisce a tutta l’umanità del passato, del presente e del futuro, che non ha conosciuto i patriarchi né la legge di Mosè e neanche il Vangelo. Se hanno sentito il bisogno di chiedere aiuto nel momento del dolore o di qualunque difficoltà l’avranno chiesto secondo le abitudini legate alla propria cultura. Quando si soffre si è sempre portati a chiedere aiuto! E si aspetta con intensità che l’aiuto ci venga dato! Un giorno queste persone finiranno di soffrire, siederanno a mensa con i patriarchi alla mensa del regno! Quello che ci fa paura è che Gesù parla dei figli del regno cioè noi che siamo stati chiamati alla fede fin dall’inizio della nostra vita, siamo stati educati a crescere secondo i dieci comandamenti come legge fondamentale della vita, abbiamo ricevuto la grazia di Dio nei sacramenti, abbiamo sperimentato la grazia del perdono. E di questi figli del regno si dice che saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti. Non ci fa paura questa prospettiva di essere cacciati fuori? Allora cosa siamo cristiani per fare? Se la vita cristiana è esigente e impegnativa perché continuare visto che non c’è alcun vantaggio? Qualcuno si preoccupa di fare qualcosa per guadagnare il Paradiso e altri parlano con paura di cadere nell’inferno. Ma quelle persone che “verranno dall’oriente e dall’occidente” cosa hanno fatto per guadagnare il Paradiso? Niente, perché il Paradiso non si guadagna! Come il centurione: cosa ha fatto per “guadagnare” o ottenere la guarigione del suo servo che “era in casa, a letto, paralizzato e soffriva terribilmente”? Niente, anzi ha addirittura impedito a Gesù di entrare in casa sua. Eppure ha ottenuto quel grande dono. Il segreto sta tutto qui: in questa fiducia totale nell’amore compassionevole e misericordioso di Gesù. Questo sì che ci salva e ci fa entrare in Paradiso.

Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio e Morterone