Ogni sentenza che viene pronunciata dal giudice nelle aule dei tribunali deve avere delle motivazioni serie. Non si può condannare una persona a stare in carcere senza dire le ragioni per cui la si condanna. E naturalmente questo vale anche per la pena di morte. Anche Gesù di Nazareth è stato portato in tribunale e processato. Anche per lui sono stati cercati dei testimoni ma non è stato facile e poi, quei pochi che c’erano, si contraddicevano tra loro e quindi la loro testimonianza non valeva niente. Poi la via si è appianata nel tribunale religioso: quando Gesù ha detto che un giorno verrà visto seduto alla destra di Dio Onnipotente tutti hanno gridato alla bestemmia e hanno sentenziato che era reo di morte! Ma questa sentenza davanti al tribunale romano non valeva niente perché i romani volevano l’ordine civile e non si interessavano delle questioni religiose. Alla fine anche Pilato, che sapeva bene che Gesù non aveva nessuna colpa e che non c’era niente da temere da uno come Lui, ha ceduto alle pressioni dei nemici di Gesù. I suoi nemici hanno toccato il tasto politico: “Noi non abbiamo altro re che Cesare. Se liberi costui non sei amico di Cesare!”. E allora Pilato scrive la motivazione della sentenza di morte: “Gesù Nazareno, Re dei giudei”.
Così tutti i passanti vedendo un cartello così chiaro e scritto in tre lingue diverse avrebbero imparato una volta per sempre che il potere imperiale va rispettato. Eppure Gesù non aveva per nulla toccato o denigrato il potere di Roma e dell’imperatore. Così avrebbero fatto in seguito tutti i suoi discepoli e così dovremmo fare pure noi: mostrare lealtà e collaborazione verso il potere costituito. Quindi Gesù è stato condannato a morte ingiustamente. Noi abbiamo lo sguardo lungo, uno sguardo fondato sulle parole di Gesù che a Pilato aveva
detto: “Sì, io sono RE, ma il mio regno non è di questo mondo!”. E noi lo riconosciamo come Re, anzi come il Re dei re, il Re dei secoli e della storia, il Re di tutta l’umanità, il Re di tutto l’universo. E quello che più conta è che Gesù vuole regnare nel cuore di colui e colei che lo accoglie liberamente e per amore. Oggi vogliamo dirlo a Gesù: “Sì, Tu sei il nostre RE!”. Lo diremo tra poco nella preghiera dopo il Vangelo dove si dice anche: ti lasciasti condurre sulla croce come agnello mansueto destinato al sacrificio. È Lui che si è lasciato prendere e condurre sulla croce: persone come i capi dei Giudei, le guardie, i giudici, i testimoni, Pilato, spariscono,e non contano più niente. Davanti a Gesù in croce con la scritta ‘RE dei Giudei’ sopra il suo capo qual è la reazione della gente?
La prima reazione è quella del popolo e si può dire che sia l’indifferenza
e anche questa fa male! Del popolo si dice che “stava a vedere” e basta. È come se dicesse: “Un po’ se l’è andata a cercare. Stavolta gli è andata male! Peggio per lui!”.
I capi lo deridevano proprio sulla base delle parole di Gesù quando diceva di essere il Figlio, l’Amato, l’Eletto!: “Mio servo tu sei, sul quale manifesterò la mia gloria. Ti renderò luce delle nazioni”. Queste parole abbiamo sentito nella profezia di Isaia. E loro dicevano: “Poveretto. Si è illuso! Ha creduto di essere amato da Dio ma Dio lo ha abbandonato a una misera fine!”.
La derisione è anche dei soldati: è l’incomprensione di coloro che non riescono a capire come mai proprio a Gesù, che in qualche modo sarà stato potente perché è stato dichiarato re, fossero capitate tutte queste cose così brutte!
Uno dei crocifissi con Gesù lo insultava, arrabbiato. Lo chiama Cristo, cioè Inviato da Dio a salvare i poveri e i miseri, a cacciare gli stranieri e vincere gli oppressori: perché non fa niente? Perché non mi fa scendere dalla croce e mi allunga un po’ la vita?
L’ultima reazione è una invocazione di grande fede, quella che Gesù dimostra di apprezzare molto e di premiare: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!”. Quell’uomo non ha detto solo questo. Aveva anche espresso un giudizio sul bene e sul male: lui sapeva di avere fatto del male e sapeva anche che Gesù “non ha fatto nulla di male”. Il regno di Gesù era certamente il regno del BENE! Ora, avendo smesso di fare il male, anche lui voleva entrare in quel regno del bene e dell’amore. Gesù glielo promette. anche a noi un atto di fede così grande e così puro che ci faccia entrare nel suo regno!
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio e Morterone