Dopo Abramo, per circa quattro secoli i suoi figli e discendenti si moltiplicano, secondo la promessa che Dio gli aveva fatto. Nei primi tempi erano niente di più che un insieme di famiglie nomadi nel deserto alla ricerca di pascoli, poi in Egitto sono diventati talmente numerosi che si sono sentiti un popolo. Però un popolo legato da servitù agli Egiziani. In tutto questo tempo è stata coltivata la memoria di tutto ciò che era successo ai loro padri e di come Dio avesse guidato la loro vita e li avesse salvati da molti pericoli. Forse sono nati in quel tempo i primi dubbi riguardanti la fede: “Dov’è adesso il Dio che ha guidato Abramo e gli ha fatto alcune promesse? Dov’è quel Dio che più volte ha salvato Giacobbe? Perché ci ha abbandonati e non fa più niente per noi?”.
Eppure in tutto quel tempo avviene un’altra cosa: coloro che soffrono rivolgono il loro grido di aiuto proprio a Dio e Dio sente il loro grido: “Ho osservato la miseria del mio popolo … ho udito il suo grido … conosco le sue sofferenze”. Allora Dio sa che è giunto il tempo di intervenire: “Sono sceso per liberarlo, per farlo salire verso una terra bella e spaziosa. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”. Ecco allora: Dio decide di manifestarsi, si manifesta come liberatore, come Colui che salva dalla miseria e dalla sofferenza, si manifesta inviando un uomo un po’ riluttante e pieno di paura come Mosè che non sa cosa fare e si sente impacciato nel parlare. Rimarrà sempre un mistero insondabile e oscuro alle nostre menti perché Dio
aspetta così tanto tempo a intervenire e a liberare. Noi vorremmo che fosse più veloce e immediato e facesse le cose in modo più eclatante e meraviglioso invece che scegliere strumenti così miseri e paurosi come Mosè e come Paolo quando, una ventina d’anni dopo la morte di Gesù si è recato a Corinto. Anche Paolo dice di sé: “Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione”. Sarà forse perché la sua predicazione ad Atene, quando ha creduto di appoggiarsi al dialogo con i filosofi del tempo, è stato un pieno insuccesso e Paolo si è molto scoraggiato.
Eppure riflettendo un poco su tutte queste cose scopriamo qualcosa di prezioso: Dio rimane un mistero grande che non si lascia manipolare da nessun essere umano. Quando crediamo di metterlo alla prova, di assoggettarlo ai nostri desideri, di imporgli la nostra volontà Dio sfugge alla nostra presa. Al contrario: quelle cose che di solito in modo molto naturale noi rifiutiamo e vogliamo evitare a tutti i costi come la sofferenza, le angosce, le prove, le difficoltà, i fallimenti, gli insuccessi, Dio si avvicina con molta delicatezza e senza far rumore e ci fa sentire il suo messaggio che Lui ci può aiutare, se lo vogliamo. Alla fine possiamo dire che Dio ha veramente liberato il suo popolo ma la sua opera educatrice e purificatrice è continuata anche dopo, sia nel cammino nel deserto che quando si è stabilito nella nuova terra di Palestina. Anche a Corinto si è formata una grande e bella comunità grazie alla predicazione di Paolo che si sentiva debole e incapace.
Non meravigliamoci dunque che anche per noi si ripetono sempre le stesse cose che abbiamo sentito raccontando la storia del popolo di Dio: le domande su Dio, tanti perché che riguardano i momenti difficili da affrontare e certe difficoltà che non finiscono mai. È proprio vero quello che dice anche Gesù: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio”. Dio, il Padre, rimane sempre un grande e insondabile mistero! Non sono permessi discorsi leggeri e superficiali. Però Gesù parla anche di “Colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. Sta parlando di noi, di ciascuno di noi. Solo Lui, Gesù, può farci capire chi è il Padre, come agisce e perché agisce così. Dobbiamo riascoltare senza stancarci il suo invito dolce:
“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”.
Mettiamoci alla sua scuola, ascoltiamo la sua parola, guardiamo al suo modo di agire, di fare del bene agli altri, di coltivare le sue amicizie, di affrontare i suoi avversari, di vivere il suo dolore nella pazienza e nella fedeltà: così arriveremo a poco a poco a conoscere chi è il Padre e troveremo “ristoro per la nostra vita”.
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio e Morterone
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