ROMA– La IV Sezione della Corte di cassazione ha respinto l’impugnazione da parte della Procura generale della Corte d’Assise di Milano a proposito della sentenza dello scorso 22 marzo che aveva assolto Aurora Ruberto, madre del piccolo Liam morto il 15 ottobre 2015 a Ballabio a soli 28 giorni. Una vicenda travagliata a livello giudiziario che si è trascinata per lunghi anni tra richieste di archiviazione da parte della Procura di Lecco, impugnazioni, imputazione coatta e processi prima in Corte d’Assise a Como, poi in Corte d’Assise d’Appello a Milano.
I genitori – assistiti dagli avvocati Nadia Invernizzi e Roberto Bardoni e residenti a Roncaiolo – hanno sempre respinto le accuse.
L’iter giudiziario ha fatto registrare numerosi colpi di scena, a partire da tre differenti perizie sulla morte del neonato non allineate tra di loro. La Procura di Lecco per ben due volte ha chiesto l’archiviazione in udienza preliminare: nella prima l’allora Gip Paolo Salvatore aveva imposto l’imputazione coatta, nella seconda il giudice delle udienze preliminari Salvatore Catalano, dopo i risultati di una superperizia, aveva disposto l’archiviazione. Ma la Procura generale in Corte d’Assise d’Appello aveva impugnato la sentenza e chiesto il rinvio a giudizio dei genitori con l’accusa di omicidio volontario.
In Corte d’Assise a Como l’allora procuratore di Lecco, Cuno Tarfusser, riformulò il capo di imputazione, sostenendo che “la madre, autrice materiale, utilizzando uno strumento contundente ovvero sbattendo la testa del figlio perpendicolarmente su una superficie piana e rigida, produceva fratture parieto temporali bilaterali, da cui derivava uno stato di particolare debolezza e di immunodeficienza tale da favorire l’insorgere di una polmonite interstiziale che portava al suo decesso. Il Nuzzo, padre, pur perfettamente consapevole delle reiterate condotte lesive e maltrattanti serbate dalla Ruberto verso Liam, le tollerava pur avendo l’obbligo morale e giuridico di impedirle”.
La Corte d’Assise di Como, presieduta dal giudice Valeria Costi accolse allora la richiesta di rito abbreviato avanzato dagli avvocati Invernizzi e Bardoni, e condannò Aurora Ruberto a dieci anni per il reato di omicidio preterintenzionale, aggravato dal vincolo di parentela, e l’assoluzione del padre Fabio Nuzzo perché il “fatto non sussiste”. Inoltre la Corte d’Assise di Como dispose la decadenza della potestà genitoriale sull’altra figlia. Gli avvocati Invernizzi e Bardoni hanno quindi presentato ricorso in Appello e lo scorso 22 marzo la Prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano, Ivana Caputo, ha letto la sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” della madre del piccolo, Aurora Ruberto, 40 anni, ribaltando la sentenza della Corte d’Assise di Como.
Ancora, a giugno 2023 l’impugnazione da parte della Procura Generale della Corte d’Assise di Milano e infine quest’oggi la sentenza della Corte di Cassazione – ultimo grado di giudizio che rende dunque definitiva la conclusione della vicenda: Aurora Ruberto non ha ucciso il suo piccolo figlio.
Red.Giu.