Abbiamo da poco celebrato le nostre feste patronali. In fondo non abbiamo fatto altro che lodare e ringraziare Dio per tutto quello che ha compiuto in due persone che lo hanno servito fedelmente e umilmente. Lorenzo: amico e collaboratore di Sisto, vescovo di Roma, servo all’altare e custode dei beni della comunità, che gestiva onestamente con una particolare cura per i più poveri. Maria: chiamata da Dio a generare nel mondo il Figlio Eterno di Dio che Lei ha saputo accompagnare lungo tutta la sua vita fino al momento estremo della morte sulla croce. Due persone umili che Dio ha esaltato. Due persone che nella nostra vita comunitaria splendono come una luce e un modello da imitare.
Se in queste domeniche estive abbiamo letto la storia dei nostri antichi padri soffermandoci su alcuni grandi patriarchi e profeti, non è per il gusto degli studi storici ma è per trovare insegnamenti di vita. Oggi però troviamo un esempio negativo: quello di Sedecia, ultimo re della dinastia regale di Gerusalemme. È stato posto sul trono di Gerusalemme dal re di Babilonia che aveva conquistato Gerusalemme e a cui aveva giurato fedeltà. Ha incontrato segretamente il profeta Geremia che, a nome di Dio, gli diceva di non avere paura e di continuare ad essere fedele alla promessa fatta al re di Babilonia. Non solo: avrebbe avuto salva la vita, lui e i suoi figli e tutta la città di Gerusalemme. Ma era circondato da cattivi consiglieri che lo chiamavano a resistere con le armi, a difendersi confidando sulle proprie forze e ha avuto paura di fare brutta figura davanti a loro. Nel comune modo di pensare un re deve sapere farsi valere, deve sapere imporsi, difendersi, dominare, lottare e vincere. Un re umile e servo di un altro non serve a niente. Sedecia si è trovato davanti a questa scelta: seguire il consiglio di Geremia che gli diceva di confidare in Dio, di non avere paura, di essere fedele alla parola data o seguire il consiglio dei dignitari di corte che gli dicevano di ribellarsi al re di Babilonia e di combattere? Sedecia, in cuor suo, avrebbe voluto fare come gli diceva il profeta Geremia ma ha avuto paura e alla fine ha seguito i cattivi consiglieri e la sua fine è stata tragica. Il re di Babilonia l’ha punito uccidendo davanti ai suoi occhi tutti i suoi figli, poi lo ha reso cieco cavandogli gli occhi e infine l’ha legato come un cane alla sua tavola, costretto a mangiare gli avanzi di cibo che gli buttavano i commensali. Poi tutta Gerusalemme è stata distrutta e il popolo deportato a Babilonia.
All’origine di tutto questo ci sta la ribellione che è il contrario del servizio, ci sta l’orgoglio che è il contrario dell’umiltà, ci sta la durezza di cuore che è il contrario della docilità. Ecco cosa abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Non si umiliò davanti al profeta Geremia, che gli parlava in nome del Signore. Si ribellò anche al re Nabucodonosor, che gli aveva fatto giurare fedeltà in nome di Dio. Egli indurì la sua cervice e si ostinò in cuor suo a non far ritorno al Signore”. Tutto il contrario di un cuore umile e docile, capace di ascoltare, di obbedire e di affidarsi a Dio che protegge i suoi figli, come hanno fatto Maria e Lorenzo, nostri patroni. Testardaggine, durezza di cuore, disobbedienza e ribellione, rifiuto del servizio e dell’ascolto: tutte queste cose sono vive ancora oggi nel cuore di tanti e sono all’origine di tanti mali di oggi.
È la stessa ostinazione e testardaggine che ha incontrato Gesù quando predicava in Galilea e in Giudea. È la durezza di cuore che ha fatto pronunciare a Gesù quelle parole amare che abbiamo ascoltato nel Vangelo.
Per affrontare i mali di oggi originati come sempre dalla durezza di cuore non è possibile cercare soluzioni di politici intelligenti o finanziare progetti particolari. Non sono queste le vie giuste. Occorre invece agire nel cuore, come faceva Geremia con il suo re, anche se poi non è stato ascoltato. Ma ancora una volta l’amore di Dio prevale su tutto perché Lui è il Dio fedele alle promesse. Anche attraverso l’esperienza molto dolorosa della distruzione di Gerusalemme e dell’esilio a Babilonia Dio è sempre rimasto vicino al suo popolo che nella sofferenza si è rivolto nuovamente a Lui, ha imparato a confidare in Lui e così è nato un popolo nuovo, un popolo che ha perso re e capitale del regno, ha perso l’esercito per difendersi e ha perso ogni importanza politica ed economica ma ha ritrovato la luce della Sapienza e della Parola di Dio, un tesoro che nessun nemico poteva rubare e distruggere. Quella Parola che è arrivata anche a noi. Da quel popolo, purificato dalla sofferenza, qualche secolo dopo sarebbe nato Gesù Cristo, il nostro Salvatore.
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio e Morterone
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