I nostri antenati, che abitavano queste stesse terre che noi abitiamo oggi, hanno voluto costruire una magnifica e grande chiesa: una casa per il Signore e per il popolo che si raduna a lodarlo e pregarlo, e l’hanno costruita facendo memoria di un fatto che è l’aurora della storia della nostra salvezza: la nascita di una bambina a Nazareth, di nome Maria. È il Duomo di Milano. È giusto avere un pensiero di riconoscenza per tutti coloro che in tanti modi hanno contribuito a
costruirlo e a regalarcelo. L’hanno fatto per le generazioni future, tra le quali ci siamo anche noi.
Il Duomo è lì, nel centro di Milano, da più di sei secoli e vengono da tutto il mondo a vederlo e a visitarlo. Cosa significa questo? Se è lì da secoli vuol dire che è una costruzione stabile, solida, molto ben costruita. E se il Duomo è molto visitato da turisti che vengono da tutto il mondo vuol dire che è anche molto bello. Anche noi lo ammiriamo. Anzi di più: lo amiamo come la chiesa madre di tutte le nostre chiese. Per noi il Duomo è molto di più di una costruzione ben fatta: è il luogo dove anche la nostra fede cresce e si alimenta mediante la parola di Dio ascoltata e annunciata soprattutto dal vescovo e dove il popolo si raduna a pregare e a lodare Dio. Facciamo bene perché anche Gesù frequentava spesso il tempio di Gerusalemme, lo amava e lo ammirava.
Eppure tutto questo è utile per Gesù da poterlo usare come un esempio. Lui spinge nel profondo il nostro sguardo e ci fa capire che c’è un’altra costruzione in atto: è la nostra stessa vita. Anche la nostra vita è paragonabile a una casa che per stare in piedi deve avere delle solide fondamenta. Per questo parla di un uomo che “costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia”. Ma di chi sta parlando? Sta parlando di chiunque si avvicina a lui, ascolta le sue parole e le mette in pratica. Ma Gesù fa anche l’esempio contrario: persone che sono pronte a pregare e invocarlo ma non fanno quello che Lui dice. “Perché mi invocate: ‘Signore, Signore!’ e non fate quello che dico?”. Dobbiamo ammettere con amarezza che è possibile essere vicini al Signore e chiamarsi suoi discepoli e perfino pregare molto senza poi ascoltare la parola del Signore e tradurla in vita: questo atteggiamento è incoerente e non gli è gradito. Nel tempo antico anche i profeti si sono scagliati, usando parole durissime, contro un culto perfetto e minuzioso ma senza cuore: labbra e cuore vanno ciascuno per la sua strada. Nella seconda lettura l’apostolo ci dice quale è il sacrificio che piace a Dio: un sacrificio di lode, senza dimenticarsi della beneficenza e della comunione dei beni.
A tutti noi piace l’atteggiamento della coerenza, cioè di chi viene in chiesa a pregare e fuori chiesa si comporta bene, con bontà e generosità. Chi fa così Gesù lo paragona a un buon costruttore: colui che va in profondità e pone le sue fondamenta sulla roccia. Ma questa volta si parla della nostra stessa vita. Capitano nella vita alcuni avvenimenti che rischiano di travolgerci e distruggerci. Come si fa a resistere? Come si fa ad andare avanti in mezzo a mille difficoltà?
Quanto è facile dire: “Basta, non ce la faccio più!” oppure a vivere nella ribellione contro una vita che con noi sembra essere più dura che con altri. Gesù non ci rende la vita più facile, ci chiede invece di essere più forti sapendo che questa forza non viene da noi ma viene da Lui: è Lui che dobbiamo ascoltare ed è a Lui che dobbiamo affidarci. Così la casa che è la nostra vita anche se è investita da tempeste e alluvioni, niente e nessuno riuscirà a smuoverla perché è costruita
bene. Sono le Sue parole!
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio e Morterone
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