DON BENVENUTO COMMENTA LE LETTURE: DOMENICA PRIMA DEL MARTIRIO DI GIOVANNI BATTISTA

Quando mancava poco più di un secolo alla nascita di Gesù, il popolo d’Israele attraversò un periodo difficile di dominazione siriana. Il re Antioco IV voleva in tutti i modi obbligare gli israeliti a seguire in tutto e per tutto le usanze e i culti religiosi diffusi dappertutto. Israele invece era consapevole di essere diverso da tutti gli altri popoli e non voleva uniformarsi agli altri. Si sa che i re e coloro che governano usano spesso lo strumento del culto e della tradizione religiosa come un modo per avere sotto di sé un popolo unito e ben sottomesso e obbediente. Ma alcuni non si sottomettono e vogliono seguire la propria coscienza e la propria fede. Così avviene anche oggi in tante nazioni del mondo dove la nostra fede cristiana non è tollerata, come è avvenuto agli inizi dell’annuncio del Vangelo. Così è avvenuto nel tempo in cui la Siria ha dominato Israele.

In quel tempo è da situare il fatto di Eleàzaro che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Eleàzaro è arrivato a novant’anni e per tutta la sua vita si è comportato bene perché ha avuto come luce e guida della sua vita quella Parola che Dio ha rivelato a Mosè sul monte Sinai. È vero che nel testo della prima lettura c’è scritto “le sante leggi stabilite da Dio”. Ma queste sante leggi non sono l’insieme di norme che tutti i popoli hanno per una sana convivenza civile. Quelle “sante leggi” sono la Torah, cioè quel dono dall’alto che Dio ha donato al suo popolo e che è un dono vivente, è Luce, è Cibo, è Sapienza e tutto questo spesso è chiamato anche Spirito, lo Spirito di Dio. Eleàzaro sapeva tutto questo e viveva di questo e per niente al mondo vi avrebbe rinunciato. È vero che in questa narrazione si parla di un semplice boccone di carne suina da mangiare ma Eleàzaro non è morto per aver rifiutato di mangiare carne di maiale, è morto per una ragione più profonda: non voleva rinunciare a quel Dono di Dio che è stato la Luce della sua lunga vita. Con questa scelta testimoniava ai suoi persecutori che stavano percorrendo una via sbagliata e che non sarebbero mai riusciti ad imporre il loro dominio a tutti finché esistevano uomini come lui. Per questo, uomini retti come Eleàzaro davano fastidio ai governanti del suo tempo e danno fastidio anche ai governanti di oggi.

Possiamo paragonare Eleàzaro ai martiri cristiani. Infatti ha seguito in anticipo l’insegnamento di Gesù pur senza averlo conosciuto. È vero che Gesù nel Vangelo dice parole molto forti ma è chiaro che non vanno seguite alla lettera: “tagliare la mano o il piede e gettarli lontani” “cavarsi un occhio e gettarlo lontano”: è chiarissimo che non si possono fare concretamente queste cose. Ma Gesù ci insegna a cercare “il meglio”, ciò che è più grande, più bello, più conveniente per ciascuno di noi. E non c’è niente di più grande, di più bello e di più buono che vivere per sempre, nella pace e nella gioia eterna. Poi la vita su questa terra ci presenta molte occasioni e molte attrattive che possono distrarci e allontanarci da quella meta che abbiamo davanti. E Gesù dice: “Siate disposti a rinunciare a quelle cose che in sé non sono brutte o negative ma possono distrarvi o rallentarvi nel vostro cammino verso la vita. Rinunciate volentieri in vista di quel bene infinito che vi aspetta!”. Il vecchio Eleàzaro ha rinunciato a quel tratto di vita che ancora gli restava da vivere, ha affrontato il momento della sofferenza e della ingiusta condanna in vista della vita eterna. Così hanno fatto i martiri di ogni tempo.

È quello che anche l’apostolo Paolo ci chiede e che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: ci sono cose visibili e cose invisibili. Ma quelle visibili sono di un momento, sono di passaggio, quelle invisibili sono eterne. L’invito è quello di fissare il nostro sguardo sulle cose invisibili che sono quelle che non passano. Questo sguardo non ci toglie nulla delle prove della vita ma ci dà il criterio giusto per giudicare gli eventi della vita: anche le cose più dolorose possono essere giudicate un “momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione” che è addirittura in grado di ottenerci “una quantità smisurata ed eterna di gloria”.

La Parola di oggi può spaventare qualcuno o forse tutti. Eppure non ci viene chiesto di essere una specie di eroi in grado di sopportare tante sofferenze. Ci è chiesto invece quel “martirio che è la fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo a orientare il nostro pensiero e le nostre azioni”. Questa parole di Benedetto XVI possono essere una bella guida per la nostra vita quotidiana: lasciare che Gesù cresca in noi e sia Lui a guidare il nostro pensiero e le nostre azioni!

Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio e Morterone

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