Nelle scorse domeniche, abbiamo ascoltato la storia del patto di amore e alleanza tra Dio e i nostri antichi padri del popolo d’Israele, al tempo di Mosè e di Giosuè. Abbiamo sentito più volte il popolo che diceva: “Sì, noi serviremo il Signore e ascolteremo la sua voce!”. Oggi invece ci assale un senso di tristezza nel vedere come si sono comportati effettivamente i nostri padri. Questa tristezza nasce dal fatto che il popolo d’Israele ha dimenticato di essere quel popolo che Dio ha sempre protetto e ha fatto vivere aiutandolo ad attraversare molti periodi difficili. Il popolo d’Israele era davvero un popolo speciale, prediletto da Dio, il Dio vivente. Gli altri popoli invece seguivano e adoravano i loro dei che credevano potenti ma che in realtà non esistevano neppure. Invece abbiamo sentito che gli anziani del popolo si sono radunati e sono andati da Samuele che aveva guidato il popolo per molti anni dandogli sicurezza e mantenendolo sulla via di Dio. E proprio a Samuele esprimono il desiderio di essere come gli altri popoli. Dicono: “Stabilisci per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli”. Israele era un popolo speciale perché discendente di Abramo amico di Dio, perché particolarmente protetto e amato da Dio, perché aveva ricevuto in dono la Legge che era la strada che portava alla vita, una vera luce e un vero cibo. Ma il popolo non ha apprezzato tutto questo e ha voluto essere non un popolo speciale e prediletto ma un popolo normale, come tutti gli altri. Anche dalla risposta di Dio al suo profeta Samuele trapela una certa tristezza: “Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. Come hanno fatto dal giorno in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te!”. Sono le parole di uno sposo che è ancora innamorato della sua sposa ma che ormai si rende conto che lei lo sta abbandonando.
Samuele mette davanti al popolo, con molto realismo, le conseguenze di quella scelta. Che cosa comporta avere un re? Il re si arricchisce a spese dei sudditi, li tratta da schiavi, se ne serve per le sue guerre di conquista, fa pagare le tasse, fa costruire palazzi e città per farsi un nome e diventare famoso. Ma anche davanti a tutto questo il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: “No! Ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie”. Come è triste notare che il linguaggio della tenerezza, dell’amore di predilezione, dell’intimità, della paternità che dona sicurezza è stato sostituito da un linguaggio di guerra, di conquista, di supremazia sugli altri popoli, di violenza! È vero: Israele percorrerà questa via che invece di portare alla vita porterà alla morte: verrà un giorno in cui nemici più potenti di Israele distruggeranno tutto.
Ma Dio è il Dio fedele alle sue promesse: anche se Israele lo ha rifiutato, Dio continua ad amarlo e saprà riportarlo sulla retta via, la via della conversione e dell’amore. Anzi Dio è capace di fare qualcosa di ancora più imprevedibile e straordinario: proprio attraverso i re che hanno guidato male il suo popolo, Dio prepara la strada alla venuta del suo Figlio che sarà chiamato RE, che sarà Re per sempre, sarà un Re universale e non solo di Israele, e sarà un Re che siederà per sempre sul trono di Davide: il primo vero e grande re di Israele. Dio è capace di costruire cose meravigliose sulle rovine di tante scelte sbagliate che anche noi, uomini e donne di oggi, compiamo. Ma non solo: Dio è capace di ricostruire dove l’uomo spesso distrugge, Dio è capace di suscitare vita e futuro dove noi vediamo malattia, morte, guerra. Sì, perché l’amore di Dio non si lascia sconfiggere da niente e da nessuno.
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio
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