DON BENVENUTO COMMENTA LE LETTURE DELLA 13ª DOMENICA DOPO PENTECOSTE

CIRO, RE DI PERSIA. Può sembrare strano che noi cristiani, in un giorno di festa come oggi, riflettiamo su un re pagano. Eppure va bene così. A noi basti sapere che nel libro del profeta Isaia Dio chiama Ciro “mio figlio”. Perché? Semplicemente perché ha creato un impero potente che è stato capace di abbattere l’impero di Babilonia. E Babilonia è stata quella potenza che ha distrutto Gerusalemme e ha deportato gli ebrei in esilio, dove sono rimasti per settanta anni. Sappiamo bene che tutti gli imperi umani prima o poi cadono, uno dopo l’altro, sia gli imperi del passato che quelli di oggi. Anche l’impero di Ciro dopo qualche decennio cadrà perché così va la storia. Ma poi chi riflette sulla storia si accorge che c’è una mano sapiente e forte che la guida: è la mano di Colui che anche Ciro chiama: il Signore, il Dio del cielo. Ciro non conosceva Abramo e gli altri patriarchi, non conosceva l’alleanza al monte Sinai e la legge data da Mosè. E’ facile pensare che abbia venerato le divinità dei suoi padri, del suo popolo. Eppure deve essere stato un uomo integro e giusto. Con la forza della sua coscienza avrà capito che occorre cercare la giustizia e il bene del suo popolo e degli altri popoli. Se il popolo di Israele ha subito una grande violenza Ciro ha voluto riparare quella violenza e ha ordinato al popolo di tornare a casa. Questo modo di agire si chiama magnanimità, cioè avere un cuore grande e una mente aperta.

Questo rende un uomo gradito a Dio anche se poi concretamente questo uomo non è stato educato a dialogare con Lui. Eppure Dio è misteriosamente presente nel suo cuore, lo guida e lo ispira nelle sue azioni. L’apostolo Paolo ce lo dice chiaramente citando il profeta Isaia: “Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me”. Il grande re Ciro di Persia, studiato anche nei libri di storia, è una di queste persone, E il popolo di Dio ha saputo vedere in lui uno strumento docile nelle mani di Dio per operare la salvezza del suo popolo.

Tutto questo lo si può ripetere anche per un’altra persona di cui ci parla il vangelo di Luca. Si tratta di un centurione: non è proprio un generale ma pur sempre un comandante di seicento soldati. Dal punto di vista religioso era considerato un pagano, anche se si dice “amava il popolo di Israele” al punto di costruire la sinagoga, un luogo per la preghiera. Da punto di vista politico era un dalla parte della potenza dominatrice di Roma, della quale tutti volevano disfarsi. Eppure quest’uomo che non ha mai incontrato Gesù, sentendo parlare di Lui ha sentito nascere in sé una profonda stima e rispetto al punto che gli manda a dire: “Io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te”. Ma quello che più conta è il fatto che lui, senza avere avuto alcuna formazione spirituale alla scuola dei maestri ebrei, ha intuito che la parola di Gesù è una parola efficace, potente, che attua ciò che dice. Quindi, avendo un servo o un figlio che stava male e desiderando la sua guarigione, quest’uomo di cui non ci è stato tramandato il nome, non pensa a medicine o a gesti straordinari operati da un guaritore, ma arriva a pensare che tutto dipenda dal fatto che Gesù dica una parola! Un sola parola! E lui sa che quella parola sarebbe stata efficace. Questa convinzione interiore che si è formata nel cuore di quel pagano Gesù la chiama FEDE! Anzi, una fede così grande che non aveva ancora trovato non solo girando per le strade della Galilea e della Giudea, ma neppure nei suoi discepoli.

La fede in loro si stava formando a poco a poco. Perfino dopo che era risorto Gesù li rimproverò per la loro mancanza di fede perché non avevano creduto alle donne che erano andate da loro ad annunciare che era risorto, anzi ritennero quelle parole come “un vaneggiamento”. Eppure Gesù l’aveva detto chiaramente che sarebbe risorto! Ma la sua parola era caduta nel vuoto e nella dimenticanza. Alla fine anche gli apostoli sono arrivati a quella fede forte e limpida a cui questo centurione pagano era già arrivato. Tutta la fatica e il lavoro di Gesù durante la sua vita consisteva in questo: suscitare la fede in Lui, fede che nasce prima come amicizia, fiducia, rispetto, dialogo che poi cresce fino a riconoscere in Gesù colui che sa tutto e può tutto, cioè ha un legame talmente stretto con Dio che può dirsi suo figlio, l’amato.

Le parole di Gesù alla folla manifestano la sua felicità nell’avere trovato un uomo che ha avuto questa fede in Lui. “All’udire questo Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”.

Il Signore doni anche a noi uno sguardo sapiente sul mondo che ci faccia cogliere la sua azione segreta nel cuore di tutte le persone che dal punto di vista anagrafico, non faranno parte della comunità dei credenti, così come è avvenuto a Ciro, re di Persia. Ma essendo stati chiamati e santificati nel Battesimo doni la stessa fede nella sua Parola che quel giorno ha trovato nel centurione romano.

Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio

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