DON BENVENUTO COMMENTA LE LETTURE DELLA QUINTA DOMENICA DI PASQUA

Gesù alza gli occhi al cielo e prega: questo avviene in quella stessa sera in cui si è inginocchiato davanti ai suoi discepoli e ha lavato loro i piedi. E’ la stessa sera in cui ha detto: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà!” ma ha pure lasciato il suo testamento spirituale: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato!”. Dopo questa preghiera avviene il tradimento e l’arresto di Gesù nel giardino degli ulivi. Gesù alza gli occhi al cielo e prega il Padre nel momento più drammatico e più alto della sua vita: è il momento in cui coglie, con un solo sguardo, tutto l’universo che esiste: coglie se stesso nel suo amore eterno per il Padre, coglie l’esistenza di tutti gli esseri umani come voluti dal Padre per farne dono a suo figlio, coglie anche la particolare condizione di alcuni tra questi esseri umani che hanno avuto una sorte straordinaria: quella di credere che questo Gesù che parla e che prega è stato mandato nel mondo proprio dal Padre. Sono i primi credenti di una lunga schiera alla quale apparteniamo anche noi, credenti di oggi. Ma Gesù coglie anche i pericoli e le insidie che dovranno affrontare i suoi discepoli nel mondo a causa della loro fede: per questo chiede al Padre di custodirli e salvarli dai pericoli.

E così è pronto ad affrontare il sacrificio supremo della sua vita al termine del quale dirà: “Tutto è compiuto!”. Che cosa ha compiuto? Che cosa ha fatto Gesù in questo mondo? Ecco cosa dice lui stesso: “Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Le parole che tu hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato”. Anche il bene fatto alle folle come il pane distribuito con abbondanza, i numerosi malati che aveva guarito, i morti risuscitati, i ciechi che avevano riacquistato la vista: sono tutti modi di dire il suo amore per ogni essere umano. Gesù coglie tutto questo con lo sguardo della sua mente che conosce tutto e del suo cuore che ama tutti “fino alla fine”.

Di fronte a questo progetto universale cosa possiamo dire o fare?

Come prima cosa, ogni tanto dovremmo anche noi fare quello che ha fatto Gesù: dovremmo ritirarci in noi stessi e chiederci: ma che cosa sto facendo? E perché lo faccio? E tutto quello che ho fatto in passato, lungo tutta la mia vita, perché l’ho fatto? Ritirarci in noi stessi non vuol dire isolarsi dagli altri in un atteggiamento egoistico ma pensare a noi stessi alla luce di Dio, vuol dire cogliere il senso passeggero di tutto ciò che ci circonda e aprirsi a ciò che è eterno e non passerà mai, vuol dire comprendere come tutto ha valore se è stato fatto per Dio, in unione con Dio, compiendo la sua volontà. Allora anche i gesti più piccoli e apparentemente insignificanti diventano carichi di eternità. Tutta la nostra vita dovrebbe essere orientata a un unico fine, quello di dire, come Gesù: “Ho compiuto l’opera che mi hai dato da fare” e come ha detto Maria: “Ecco la serva del Signore. Si compia in me secondo la tua parola”. Ed è quello che dovremmo dire volentieri ogni giorno nella preghiera che Gesù ci ha insegnato: “Padre, sia fatta la tua volontà!”.

In secondo luogo dovremmo condividere almeno un po’ lo sguardo di Gesù. Guardare a Dio Padre come lui lo guardava e lo sentiva e guardare anche a noi stessi come Lui, Gesù ci guarda e ci considera. Troppe volte i nostri pensieri e i nostri sguardi sono come bloccati e irrigiditi. Non per cattiveria ma piuttosto per le vicende quotidiane con tutte le loro preoccupazioni che ci impediscono di volare un po’ più in alto, mentre invece è necessario qualche volta staccarci dalle preoccupazioni immediate e ritrovare il senso di tutto quello che facciamo: siamo sempre nelle mani di un Dio che ci ama anche se tante volto ce lo dimentichiamo. Siamo sempre suoi figli pensati e voluti come un dono al suo figlio Gesù: è questa la nostra dignità e la nostra grandezza, ma troppe volte prevalgono le nostre miserie e piccinerie, e ci dimentichiamo di essere portatori di una dignità divina. E se la concretezza della vita quotidiana ci ricorda sempre gli impegni e le responsabilità che abbiamo non siamo certamente chiamati a evaderle e a vivere in modo spensierato e leggero. Siamo invece chiamati a ricordare che il Padre veglia su ciascuno di noi e che il nostro fratello maggiore, Gesù, ha pregato e continua a pregare per noi dicendo: “Padre, custodiscili nel tuo nome, perché siano una sola cosa, come noi”.

Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio

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