Anche oggi teniamo fisso il nostro sguardo su Gesù per chiederci che cosa ci lega a Lui, come è la nostra relazione con Lui. Domenica scorsa abbiamo ascoltato la testimonianza di Giovanni che ci ha presentato Gesù come il Figlio di Dio. Noi diciamo di credere in Lui: è la fede. Ma questa parola non corre il rischio di essere un po’ astratta? Anche quando diciamo che la nostra vita la affidiamo a Lui non c’è il rischio che si faccia con Gesù quello che si fa con una assicurazione? Siamo tranquilli perché la nostra vita è in buone mani, la nostra vita è assicurata, non abbiamo più nulla da temere! Dobbiamo dire con chiarezza che tutto questo non basta! Dicevamo che la fede è una pianticella che va curata perché deve crescere altrimenti diventa secca e arida e non produce frutti. La fede in Gesù, crescendo, a poco a poco diventa amore!
Ascoltando la parola di Gesù in queste domeniche pasquali vogliamo riflettere proprio su questo: la nostra fede è cresciuta ed è diventata amore? Possiamo dire di amare Gesù? Ma dire questo adesso è troppo presto, siamo andati troppo avanti. Anche nelle nostre esperienze umane di vivere l’amore viene un momento cruciale ed importante in cui uno parte per primo e sente il bisogno di dichiarare il proprio amore. C’è qualcuno che ama per primo e in modo assolutamente gratuito. Questo è evidente soprattutto nell’esperienza della maternità e della paternità. E questa è l’esperienza che ci unisce tutti: la nostra prima esperienza nell’amore non è quella di amare ma è quella di essere amati da qualcuno, che sono nostri genitori. Da lì nasce la chiamata ad amare.
Possiamo dire che le parole che abbiamo ascoltato da Gesù sono la sua dichiarazione di amore nei nostri confronti. Ce lo dice con la frase “dare la vita” e ce lo dice più volte. Questo è un mistero molto profondo, così profondo che lo comprenderemo in tutta la sua pienezza quando giungeremo nell’eternità, con Lui. Ma intanto non possiamo rimanere completamente all’oscuro e allora Gesù si serve di un paragone, accessibile a tutti. Agli antichi ebrei ma anche a noi, oggi: le pecore, che vivono numerose, unite in un gregge, che pascolano tranquille sotto lo sguardo vigile di un pastore. Il pastore sa dove guidarle perché trovino cibo e acqua e il loro unico modo di vivere è quello di affidarsi alla guida del loro pastore. Ma Gesù va oltre e dice di essere il pastore “buono e speciale” nel senso che non fa profitti e guadagni con il suo gregge ma quando vengono i pericoli è Lui che è disposto a perdere la sua vita perché il suo gregge sia salvo. Così Gesù fa capire di essere un pastore “diverso” da tutti i pastori umani: infatti tutti i pastori esercitano un lavoro per vivere: vendono pecore e agnelli, vendono la loro lana e ci guadagnano soldi. Gesù vuole parlare in modo velato della sua prossima morte e ci fa capire che sarà una morte per amore nostro, e non un incidente o una capitolazione di fronte a una potenza nemica e malvagia, tant’è vero che dice chiaramente a proposito della sua vita: “Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo”.
Accanto al dono della vita c’è un’altra esperienza di cui Gesù ci parla: è la conoscenza. “Io sono il buon pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. E’ vero, le pecore sanno riconoscere, tra tante voci diverse, la voce speciale del loro pastore e seguono quella. L’esperienza che abbiamo letto il mattino di Pasqua è stata quella di Maria di Magdala che ha riconosciuto Gesù dal modo con cui Lui ha pronunciato il suo nome: “Maria!”.
Allora faremo bene a superare ogni superficialità e pensare con un po’ di profondità alla nostra vita: chi ce l’ha donata? Da dove veniamo? Cosa ci troviamo a fare in questo mondo? Ci renderemo conto a poco a poco che qualcuno ci ha amati per primo, qualcuno che ci conosce bene. Allora sentendoci conosciuti e amati sentiremo pure nascere qualcosa dentro di noi, una specie di desiderio e di attrazione: muovere alcuni passi in avanti, cercare di conoscere chi è colui che dice di conoscermi e di amarmi e di voler donarmi la sua vita. Diamo libero spazio a questo desiderio perché è sano e aprirà nuovi orizzonti alla nostra vita.
C’è però una stranezza in tutto questo: Gesù non sta parlando ai suoi discepoli o a noi ma sta parlando a Farisei e Giudei. Gesù ha appena incontrato quell’uomo cieco dalla nascita che lui aveva guarito. Quest’uomo si è prostrato dinanzi a Gesù in segno di riconoscenza, fede e amore. Ecco un’altra pecorella che ha trovato il suo pastore buono che gli ha donato una nuova vita. Invece i farisei e giudei stanno intorno a Gesù in atteggiamento di sfida e stanno complottando la sua morte, cosa che avverrà dopo pochi giorni. Sentendo queste parole d’amore da parte di Gesù reagiscono dicendo: “Ha un demonio ed è fuori di sé. Perché state ad ascoltarlo?” La durezza del loro cuore e la loro cecità interiore non ha permesso loro di accogliere e comprendere parole che parlavano di amore. Noi invece vogliamo seguire la strada di Maria di Magdala e del cieco che ha ritrovato la luce: con le sue parole Gesù vuole chiamarci a vivere nell’amore!
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio
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