BALLABIO – Sergio Locatelli, ex comandante della Polizia Locale di Ballabio, è a casa guarito, in una abitazione diventata improvvisamente vuota. Prima vi vivevano in tre, ora lui da solo. La sua storia fa a brandelli i luoghi comuni e mostra come la realtà possa essere crudele senza pari e allo stesso tempo meravigliosa nella tenuta umana. Sotto i suoi occhi sono passati forza e solidarietà. Si racconta, ma parla soprattutto “Per mettere in guardia gli altri“. Perché il Covid-19 è subdolo, si è servito della normalità dei gesti fuori casa per colpire.
“Un caffé al bar al mattino e poi quando serviva la spesa al pomeriggio anche a Lecco“. In quanti a Ballabio si sono sempre mossi così? Tantissimi.
Lui ce l’ha fatta, anche se spossato: “Alla dimissione il medico mi ha predetto una convalescenza tosta, molto più lunga rispetto a una influenza normale. Difatti sono stanchissimo, faccio fatica perfino a rimanere seduto“.
L’orrore è iniziato con un gocciolamento al naso, “Non un vero raffreddore”, poi la febbre è salita di sera a 37,5.
La mattina però balzata a 38,5 gradi, accompagnata da dolori alle gambe e a tutta la schiena, brividi e stanchezza.
In quei giorni si parlava già di Coronavirus, lui spaventato, si è subito rinchiuso in camera evitando il momento comune del pranzo, ma non potendo rinunciare a movimentare la madre inferma, quando era necessario.
Ovviamente aveva già chiamato il numero verde regionale predisposto, ricevendo il consiglio di stare a casa in contatto con il medico di base. “Gentilissimo, ci sentivamo più volte al giorno”.
La cura è l’antipiretico accompagnato dall’antibiotico. Che appaiono completamente inutili sia contro la febbre sia contro i sintomi della malattia.
Quattro o cinque giorni dopo si ammala la madre Isa, già da anni inferma e infine il padre Maurilio, persona sanissima e indipendente. A 94 anni è parte attiva nell’accudimento della moglie. Lui è colpito da forti tremori. Mentre la consorte dorme e non prende né cibo, né acqua.
Davanti al precipitare della situazione Sergio Locatelli chiama il 112, riceve il solito invito a rivolgersi al medico di base, lui insiste “Stiamo male in tre, mia madre non risponde più“. L’operatore gli chiede di scegliere su due piedi chi deve essere soccorso e lui cita la peggio messa: la mamma.
All’arrivo dell’ambulanza e del medico del soccorso, il destino pone lui e la sorella alla prima prova impensabile. Visto lo stato pre comatoso di Isa, la dottoressa propone Sergio per il ricovero. Per il padre arriverà un’altra ambulanza. Insieme alla sorella lui si oppone: la madre è da salvare.
E qui il diktat: la signora resta a casa nel suo letto. Nessuno dovrà più entrare nell’appartamento, si spegnerà da sola. La pietas ai tempi del Coronavirus… fatta a pezzi d’imperio.
Quando arriva in ospedale a Gravedona, Locatelli viene portato nella sezione del Pronto Soccorso destinato ai positivi da Covid-19.
Arriva il secondo momento di angoscia.
Vi è ricoverato un alto prelato che sta conversando con un vicino di letto. La scena tranquilla cambia nel volgere di pochi secondi e il religioso improvvisamente diventa incosciente e rantoloso, prima di essere trasferito velocemente in terapia intensiva.
E poi gli angeli custodi, i sanitari sul fronte del contagio – lì a ritmi serrati a strappare gli ammalati dalla falce del destino fatale. Una luce di umanità.
La giovane OS che piange perché non vede più la propria famiglia, serrata da straordinari e orari interminabili e l’infermiere che tiene nascosto ai genitori, per non preoccuparli, di essere tra i soldati anti Coronavirus.
Nonostante ciò gentilissimi e accudenti.
Locatelli infine lancia l’accorato appello a non prendere sotto gamba questo momento, ad ascoltare gli esperti, e a fidarsi di chi ne sa:
E sul contagio e la paura di svelarlo, ecco le sue franche parole:
Oggi, 26 marzo, Sergio compie 66 anni, il primo compleanno trascorso da solo, i genitori non ci sono più.
Intorno, però, si è formato un cordone debordante di affetto. Il suo cellulare suona in continuazione, parenti e amici, certamente, ma anche persone lontane: ex colleghi “Non so neppure come siano riusciti a risalire al mio cellulare”.
Dai social dove non è presente rimbalzano migliaia di messaggi di solidarietà da tutta Italia, da quando la sua storia ripresa dal nostro giornale è dilagata prima sui media locali e poi in quelli nazionali.
Questa è Ballabio, questa è la Valsassina e questa è l’Italia: empatica, attenta, capace di stare vicino.
Una nazione – con tutti i suoi difetti – di cui essere orgogliosi.
N. A.
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