Un gruppo di persone, a volte chiamate farisei oppure giudei, è attorno a Gesù. Un po’ lo ascoltano, poi discutono, lo criticano e fanno anche domande, per esempio: “Dov’è tuo padre?” oppure: “Tu chi sei?”. Arrivano al punto di pensare che Gesù voglia suicidarsi solo per avere detto: “Dove vado io, voi non potete venire”. Sono queste le persone, un po’ attratte e un po’ diffidenti, che sentendo parlare Gesù e vedendo le opere
buone che fa si avvicinano a lui con un certo interesse. L’evangelista Giovanni usa una parola forte e cioè “credere”. Credere è una cosa seria. Come si può dire che hanno creduto proprio quelle persone di cui si dice, al termine della vicenda, che “raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui”? Se in qualche modo hanno creduto è stato per poco e in un modo molto superficiale e speriamo che questo non lo si possa mai dire della fede di ciascuno di noi.
In ogni caso Gesù all’inizio li accoglie ed indica loro la strada: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Perché dice: “se rimanete nella mia parola” invece di dire: se ascoltate la mia parola? Oppure avrebbe potuto dire: se osserverete la mia parola e la metterete in pratica, che troviamo più avanti e anche in altre pagine del Vangelo. La parola “rimanere” è la stessa che dimorare, o abitare. Gesù la usa anche per il suo corpo e il suo sangue: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. Gesù la usa per definire il nostro rapporto di intensa amicizia con lui: “Rimanete in me e io in voi”. Gesù la usa per descrivere l’amore che ci unisce: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. La parola di Gesù è come una casa: nella casa ci si abita, si vive, si mangia, si dorme, si coltivano le relazioni più preziose e care.
Riusciamo a pensare alla nostra vita senza la casa dove abitiamo? Togliamo la casa e diventiamo dei girovaghi, perdiamo le nostre relazioni familiari, non mettiamo a frutto le nostre capacità, viene meno il nostro avvenire. La parola di Gesù non è solo qualcosa da ascoltare con le orecchie, come l’insegnamento di un saggio che ci mostra lo stile di vita. Non basta neppure dire che la parola di Gesù la si trova nel Vangelo, che è un libro da leggere. La parola di Gesù è un cibo da mangiare e di cui nutrirci per mantenerci in vita. La parola di Gesù è l’amicizia stessa che ci lega a lui. La parola di Gesù è la casa da abitare tutti i giorni della nostra vita. La parola di Gesù è il punto di riferimento costante e quotidiano che plasma i nostri gesti e le nostre scelte. Quanto è bello dire queste cose proprio in questi giorni di emergenza sanitaria in cui ci è tolto il cibo eucaristico perché, per cause di forze maggiori, non possiamo radunarci in assemblea. Gesù non ci lascia senza cibo e senza casa: è la sua parola. Anche quando, con molta gioia, riprenderemo a celebrare l’eucaristia in sua memoria, guai se dimenticassimo che la parola di Gesù è il nostro cibo proprio come lo è il pane eucaristico.
E questo è solo l’inizio del cammino, un cammino di conoscenza della verità per arrivare alla piena libertà.
Proviamo a leggere queste parole scritte da un prigioniero condannato a morte: “Quanto a me, io sono nella pace, non arrivo nemmeno a essere un po’ impressionato. Mi sembra che quello che sta per accadere sia l’atto più naturale che ci sia. Guarda la bontà di Dio, che non soltanto mi promette un’eternità di felicità, nonostante tutti i miei peccati, ma che addirittura mi ci conduce in poltrona e con tutta la dolcezza e la bontà d’un padre cha ama i suoi figli! Non mi accadrà alcun male e sarò portato diritto in paradiso con tutta la dolcezza che si conviene a un neonato”. Sono parole scritte il 28 settembre 1957 da Jacques Fesch, ghigliottinato in Francia tre giorni dopo, il 1° ottobre 1957, a causa di una condanna per omicidio. Proprio in carcere ha conosciuto la parola di Gesù, se ne è nutrito, vi ha dimorato, ha ritrovato quella vita che aveva perduto nel peccato e ha scoperto la libertà del cuore anche se la giustizia umana l’ha portato in carcere e l’ha condannato a morte. Niente è impossibile alla forza e alla dolcezza della parola di Gesù!
Don Benvenuto Riva
Parroco di Ballabio
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