Quanto sei bella.
Madre delle maree, lacrima dei poeti, culla degli amanti, spiraglio di luce nelle notti buie: ci hai fatto innamorare nell’istante in cui, per dirla alla Hawking, abbiamo smesso di guardare i piedi per cercare il cielo e cinquant’anni fa siamo venuti a cercarti perché, sai, è questo che facciamo noi umani quando amiamo.
I più fortunati, con qualche primavera in più, ricorderanno la diretta fiume trasmessa dalla Rai il 20 giugno 1969 dove, dopo circa quattro giorni di viaggio, videro la prima impronta sul suolo lunare di un uomo, Neil Armstrong, che pronunciò la frase: “Un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l’umanità”.
E da allora l’umanità non si è più fermata: Curiosity su Marte, buchi neri, la scoperta dell’esopianeta Kepler-452, i segnali radio captati da Stephen Hawking arrivati da chissà dove e la tecnologia galoppante verso l’IA, quella Intelligenza Artificiale che potrebbe risolverci i problemi o causare la nostra catastrofe. Solo per citarne alcune.
Un continuum inarrestabile, che un giorno ci porterà a colonizzare altri pianeti, o almeno così ipotizzano molti scienziati, caratterizzato dalla costante certezza che siamo solo granelli nell’universo e tanto dovrebbe bastare per placare l’odio che divide gli esseri umani.
Ma tant’è.
Il programma Apollo, gestito dalla NASA dal 1961 al 1975, ha visto il susseguirsi di numerosi presidenti U.S.A., da Dwight Eisenhower a John Fitzgerald Kennedy, cui succedette Lyndon Johnson, poi Richard Nixon e infine Gerald Ford.
Una corsa allo spazio che affondava le radici nella guerra fredda tra U.S.A. e Unione Sovietica, due potenze in lotta dove allo Sputnik di uno l’altro rispondeva fondando la NASA, che vide la vittoria americana ma soprattutto il trionfo di secoli di umanità: il 20 luglio 1969 la missione Apollo 11, con a bordo gli astronauti Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins, sbarcò sulla Luna.
Arrivammo tutti sulla Luna quel giorno e non fu facile. Ci vollero dieci missioni prima.
In una di queste, la prima, Apollo 1, durante un’esercitazione persero la vita gli astronauti Gus Grissom, Edward White e Roger Chaffee, a causa di un incendio divampato dalla scintilla di un cavo e propagato rapidamente a causa dell’atmosfera d’ossigeno pressurizzato nella capsula. I tre rimasero intrappolati dentro perché il doppio portello con apertura interna poteva aprirsi solo con la capsula non pressurizzata e a nulla valsero le urla di Chaffee: “Fuoco! C’è del fuoco nella cabina!” seguito da: “Stiamo bruciando!”.
In memoria dei tre astronauti sono state deposte due targhe sul luogo dell’incidente e in una di queste sono incise le parole: “In memoria di coloro che hanno reso l’ultimo sacrificio perché altri potessero raggiungere le stelle”.
Era il 1967, due anni dopo i loro compagni mantennero la tacita promessa e arrivarono lassù, dalla più bella, lasciando un’impronta indelebile sul suolo lunare e nella storia.
Il programma Apollo ha raccolto l’umanità intera, unita con il fiato sospeso, raccontandone i tratti di gioia di vivere e dolore, sconfitte, tentativi e vittorie, ha visto la scienza, al servizio dei sognatori, consegnarci alla Luna che ci ha accolto svelandoci a noi stessi, rivelandoci chi siamo.
Se solo riuscissimo a ricordarcelo sempre.
Simona Di Domenico