La terza domenica di quaresima, cioè la presente, ha titolo da Abramo. Naturalmente, non c’è congruenza di tempo: non è personaggio che interviene nel dibattito polemico tra i “giudei” – i maggiorenti del Tempio – e il Signore Gesù, ma rimane proprio sullo sfondo con una presenza continuamente allusa con cui non si può mancare di far conto. Abramo è padre nella fede e subito ci accorgiamo che, volendo sentirci nella sua appartenenza, è giocoforza far conto proprio di questa: della fede. Qual è la fede che lega gli oppositori di Gesù ad Abramo? Una fede risolta in pratica religiosa, in adempimenti di legge formalmente ineccepibili, ma, mentre c’è ossequio a Dio si lascia in cuore spazio all’avversione, addirittura all’odio omicida, per chi dichiari diversa espressione di fede.
Il Signore Gesù concede siano “figli” di Abramo, ma solo per discendenza biologica, non certo per la conversione del cuore dove è la fede vera. Non può essere un fatto, la sola circoncisione o l’osservanza materiale di norme, a dire un’adesione dell’uomo nella sua pienezza, l’uomo è innanzitutto spirito, non può essere che il cuore: l’interiorità, ultimamente significativa. Il discorso, meglio la riflessione, sull’adesione a Dio – cioè sulla fede – non si chiude ai tempi di Gesù, è ben attuale e ci coinvolge. La liturgia di oggi sollecita la mia riflessione proprio sui contenuti della mia fede, il mio rapporto con Dio che dà senso profondo alla mia vita e alle mie relazioni, non posso autenticamente amare Dio per poi escluderlo dalla concretezza del mio agire. Sono figlio di Abramo, ho fede autentica solo se proprio la fede (non solo il suo segno esteriore anche quando fosse gesto liturgico) dà senso alla mia vita, dà forza al senso delle mie opere.
I “giudei” erano avversi a Gesù sino alle pietre della lapidazione, questo è sicuramente lontano dai miei pensieri, eppure quanto è facile che nel cuore si scavino distanze umane benché mi dica non solo d’Abramo e addirittura figlio di Dio.
Don Gianbattista Milani
parroco di Ballabio
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