Se il primo “segno” compiuto da Gesù è quello di incredibile abbondanza di vino, richiamo a una gran festa coinvolgente quant’è la festa delle nozze; nella moltiplicazione dei pani troviamo certamente la genialità del muovere simboli dai gesti e dalle cose usuali e più semplici. Col scegliere l’Eucaristia come segno di unità con lui, anzi, ben di più: realtà e mistero (non per nulla la diciamo abitualmente comunione) Gesù si pone in un cibo, quello di più immediato richiamo perché di tutti e abituale: il pane. La moltiplicazione dei pani ha mira ad evocare l’antico, per di più nel contesto di luogo desolato, desertico, il cibo dell’Esodo, del deserto: la manna. Eppure con ben più forte evidenza, Gesù vuol preparare alla novità dell’Eucaristia. Qui si fa richiamo non solamente alle folle antiche, ma a noi stessi. Attraverso le narrazioni evangeliche, abbiamo invito a cogliere la realtà del donarsi a noi del Signore nel sacramento per eccellenza che è l’Eucaristia. Mette conto ci si fermi un poco ad assaporarne il testo.
Il Signore all’osservazione dei discepoli sulla necessità per tutta quella gente, di mangiare, esorta loro stessi – suscitandone meravigliato sconcerto – a dar proprio loro cibo. Con questa esortazione, credo, Gesù voglia suggerire che non dobbiamo aspettarci tutto da lui, dall’alto, intendo che vi siano predisposizioni personali da muovere per incontrare il Signore. Certo il sacramento è dono, ma non calato addosso, non senza la nostra partecipazione. Eccede sicuramente molto quanto noi possiamo apprestare, è molto più grande di noi, ma non si può pensare senza la nostra partecipazione. Naturalmente – cibo spirituale com’è – sta tutto nelle disposizioni interiori il nostro aderire.
Allora il nutrimento vero ci sarà donato con l’abbondanza del Signore, sino addirittura all’eccedenza: “dodici ceste piene”.
Don Gianbattista Milani
Parroco di Ballabio
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