Ho ben impresso nella memoria il trotterellio sollecito che, sul finir di Messa nel rito antico, noi chierichetti si faceva per salire a lato d’altare a porgere la tavoletta “dell’ultimo Vangelo” al sacerdote che ritmava parole note e arcanamente oscure nell’antica lingua della liturgia così sonora e consonantica insieme. Lo stesso brano che principia il Vangelo di Giovanni, anche nella nostra lingua non perde l’incalzar di ritmo che porta a pensieri alti e richiami antichi: al primo schiudersi di parola nello sbocciare del libro di Genesi. Non dobbiamo davvero lasciarcelo scorrere per gli orecchi, non permettiamo si sciolga nell’insolito pur poetico esprimersi, il richiamo che sollecita ad accogliere la Parola-persona: il Verbo (come usa dire) che ha modellato il mondo ed ora viene a noi.
È il dono, il mistero del Natale in proposta più diretta, senza le tenerezze umane – pure della storia – che rischino deviare la nostra sensibilità. Il mistero di Dio che entrava nel mondo, nell’umanità per dare nuova possibilità di riscatto, non vide accoglienza e la drammatica fine del Signore Gesù, il Figlio di Dio fattosi per noi uomo, parve terminare al fallimento della croce. La riproposta di Giovanni ci fa riflettere, non solo al dramma antico della tenebra che avrebbe voluto soffocar la luce, ma alla possibilità per ciascuno di noi rifiutare l’incredibile dono di Dio. Il Natale è Dio che diventa uomo, certo nel Bambino Gesù, non per sdolcinature romantiche, ma per riplasmare la nostra umanità nel profondo.
Lui, il Verbo – come si è soliti dire – su cui la realtà intera è stata modellata, dà nuova possibilità di crearla a nuovo, stappando la debolezza del male, addirittura innalzandola alle grandezze divine. Noi siamo coinvolti proprio in questo: divenire, noi pure, figli di Dio. È il dono vero del farsi uomo di Dio, il dono vero che non solo ripropone, ma affida proprio a noi, alla nostra accoglienza il Natale del Signore.
Don Gianbattista Milani
Parroco
di Ballabio