Il calendario della Chiesa batte cadenze diverse da quello civile cui siamo meglio consueti. L’Avvento, che mena inizio nuovo all’anno liturgico, ci invita così a riflettere del tempo. Mi piacerebbe invitare a pensare, non tanto la consuetudine liturgica e le scansioni che impone allo scorrere dei giorni, quanto al tempo come ci è consegnato dalla Scrittura Sacra e, meglio, da quanto ci narra della cura, dell’amore che Dio mostra nei confronti dell’uomo. Per solito si parla di “storia della salvezza”. Ebbene, il ricominciare d’Avvento mi conduce il pensiero proprio qui: il tempo dell’uomo, nella visione alta della fede, non è un ripetersi di eventi (come ci potrebbe apparire dal volgere di calendari, civili o altri: per gli antichi era addirittura un eterno ripresentarsi). Se questo può essere vero, alle nostre latitudini, per le stagioni; non lo è nella profondità del rapporto con Dio. Il tempo, che è sempre vicenda di relazione, e, per noi qui, tra il Signore e l’uomo; è invece irripetibile e ben saldo sui cardini della grandezza amorevole di Dio.
Questi sono tre: la creazione, l’Incarnazione e la Parusia (termine un po’ tecnico che dice l’incontro definitivo dell’uomo con Dio che comprende il giudizio finale). Paiono sequenze temporali, ma non sono solo tali: la creazione non è puro atto del passato. L’incarnazione continua la sua azione anche nell’oggi e già nella creazione ha posto modello. È pure sotto gli occhi come il giudizio ha avuto un anticipo nella croce di Gesù, ma anche dirige il cuore e la coscienza di ciascuno.
L’Avvento celebra la venuta del Signore in due momenti decisivi: da un lato, quello del dissolversi del tempo col giudizio finale (è allusione tipica proprio di questa prima domenica d’Avvento) e poi l’altro, quello della nascita di Gesù, della sua incarnazione che vive nel Natale e ci invita ad accogliere il Verbo di Dio che non solo è venuto ed atteso, ma continuamente viene e interpella la nostra vita.
Don Gianbattista Milani
Parroco di Ballabio
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