BALLABIO – Oggi si sono svolti i funerali di Augusto De Micheli, scomparso recentemente all’età di 93 anni. Questo racconto che vi offriamo oggi era rimasto in sospeso perché quando me lo propose, sembrava un testamento spirituale, un ricordo di una Ballabio che già più di dieci anni fa non esisteva più, coperta dal cemento. De Micheli e Severo Invernizzi (zio Franco) sono stati tra i primi a non voler dimenticare la storia vera di un paese che, milanese il primo e ballabiese DOC il secondo, amavano dal profondo. Inoltre Augusto aveva compreso anche la potenza della nascente Internet, che nel 2004 faceva i suoi esordi proprio qui in paese con ballabioweb.
Pubblicare quelle considerazioni inedite mi sembra il modo migliore per ricordarlo.
G.P.
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“… poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra (Mt 1, 18-2)”. Siamo a duemila anni fa, ma già da allora, ed anche prima, si usavano preziose materie prime (incenso, mirra) per sviluppare aromatici profumi.
Le mie osservazioni vanno, per conoscenza diretta per sentito dire, ai lontani anni del primo mezzo secolo XX. Entrando in qualunque chiesa di ogni paese si veniva sempre avvolti nel caratteristico odore dell’incenso e l’atmosfera era di leggera foschia: all’epoca erano molte le messe Grandi, le benedizioni con ostensorio, le processioni che partivano dall’interno dei sacri locali. Il profumo era così diffuso che pareva consueto con la sacra dimora.
Ma se più prosaicamente mi ributto all’interno del paese le cose un po’ cambiano, ma solo per la diversità degli odori. I paesi (ora unico) erano racchiusi in sé, concentrati su sé stessi, anche un po’ lontani ma omogenei.
Omogenei per attività: allevamento bestiame con cura dei prati e dei boschi, produzione formaggi, industrie casearie per la stagionatura e per quella poca non occupazione locale la gente puntava sulla miriade di artigiani e industrie del ferro che si sviluppava dall’Acqua della Gallina in giù.
È inverno e se mi aggiro a metà mattina entro le Vie Cavour o Via Carrobbio ben percepisco l’intenso profumo del faggio che brucia sui camini, accesi da poco senza alcuna fatica. Al mattino il camino non era mai spento: sotto il leggero strato di grigia e calda cenere covava la viva brace di solito di faggio, raramente di betulla o castano.
Ma allorché s’avvicinava il mezzogiorno quella piccola profumata nebbia fumosa si mescolava con quella – ben distinta – della farina di ‘mais’ che cuoceva per divenir polenta.
Il ‘diapason’ del profumo era attorno alle ore dodici allorché la polenta era cotta, ma restava ancora un po’ nel suo paiolo di rame e si formava così quella leccornia che è la crosta della polenta: il suo profumo intenso, aromatico e gradevole saliva nei camini per poi scendere nelle strette vie come il Vicolo Portone o la Via Saffi, oltre a quelle sopracitate, ed era di stimolo – non certo necessario a quell’epoca di miseria -per soddisfare la fame.
Siamo oggi invasi da impossibili e innumerevoli modalità per profumare noi ed i nostri ambienti. Ma, domando io, lo ricordate il dolce gradito, amabilmente seducente profumo della polenta?
Altri odori ci potevano invadere. Vero che ogni casa aveva in sé una stalla con bovini e, sopra la cucina, il grande e prezioso fienile.
Ecco allora d’inverno che per le viuzze s’aggirava anche un odore di stalla, forse non molto esaltante, ma certamente non disdicevole vuoi per l’abitudine allo stesso, vuoi perché il freddo lo mitigava. D’estate il problema in pratica non esisteva dato che il bestiame era trasferito agli alpeggi montani
Ma proprio in luglio-agosto i due paesi erano invasi da intensi e penetranti aromi, non certo benefici per gli allergici. La ricchezza erano i prati, l’erba; ed i tagli classici per renderla fieno erano tre:” mageench”, “ladegoeur” , “terzoeul”.
Sorvolo sull’impegno umano del taglio a mano (iniziato all’alba) sino al ricovero in casa; ma ogni strada in quei mesi vedeva sparso a terra il fieno caduto dai carri mentre dai fienili delle case emanava forte e penetrante l’aroma delle erbe essiccate e compresse per il loro utilizzo invernale. Ma il profumo di quel foraggio era veramente profumo che permaneva sino a fine autunno, allorché andava decrescendo.
Se poi si percorreva la Via Provinciale dal ‘Ristoro’ sino oltre la ‘Gera’ il profumo degli stracchini (quader o tound) segnalava che l’impero dell’industria casearia era tutta (o quasi) in quel tratto. E se solo uno aveva ancora le narici invase dal bruciacchiato profumo della polenta, il peccato di gola era compiuto!
I nostri bambini e ragazzi ora si nutrono solo di quanto la moderna industria alimentaristica fornisce; gusti anonimi con prodotti però facili da consumare.
In più quei giovani arricciano facilmente il naso alla vista o al contatto di certe materie prime naturali e ciò perché gli odori delle stesse giungono loro completamente nuovi all’olfatto.
Da Ballabio
Novembre 2004
Augusto De Micheli