“Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!”, esclama proprio così, Giovanni, vedendosi venire incontro il Signore Gesù. L’evangelista l’aveva indicato già come testimone addirittura di luce; ora l’esclamazione gli dà voce nuova, profetica (”Ecco” è il tipico segno dell’enfasi autorevole dei profeti) il Battista è qui mostrato profeta.
Vasta l’evocazione dell’appellativo: agnello; infatti, subito, l’immagine è naturale e universale richiamo di mansuetudine. Il Battista, però, e forse più, la gente che gli stava attorno (si trattava addirittura dei maggiorenti: sacerdoti e leviti – custodi del tempio e della tradizione – ed anche dei “farisei”: gli esponenti, cioè, del Sinedrio massima autorità ebraica) tutti erano ben pronti a patir risonanza immediata circa le loro stesse abitudini quali il quotidiano sacrificio di agnelli nel tempio.
Pure immediato, più profondo e religioso, il riferimento profetico a Isaia, al suo “servo di Yahweh” (“come agnello condotto al macello” 53,7) o a Geremia (11, 19) che ne aveva usato, non pur l’immagine, ma quasi le stesse parole. Gesù, per il testimone di luce Giovanni, è l’agnello sacrificale che “porta”, prende su di sé, cioè toglie, cancella il peccato.
Era però ben presente, né poteva essere ignorato, un altro riferimento all’agnello: quello della liberazione pasquale, quello del sangue segnato su stipiti di schiavitù ad essere superati per sempre. Quel pasto d’agnello fondò nuovo modo di essere: un popolo libero nel Signore, di libertà donata ed insieme conquistata nel deserto.
La voce del Battista ancora a noi addita l’agnello Gesù perché possiamo accogliere e gustare la gioia e la libertà della pasqua. A noi, ogni domenica – che è Pasqua – si fa invito a cibarci dell’agnello dal sacerdote, nuovo Giovanni, perché noi, Giovanni altrettanto, ne diveniamo – sommessamente – testimoni e profeti.
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Don Gianbattista Milani
Parroco di Ballabio
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