BALLABIO – Se l’amatissimo bivacco “Emanuela” si è salvato, lo si deve a due ‘soccorritori’ che venerdì, visto il grande fumo dietro al Due Mani, gambe in spalla sono corsi lì prima che il fuoco facesse capolino dallo spartiacque. Era quasi ora di pranzo ed Erminio guardando la montagna di fronte ha pensato alle volte in cui il Due Mani era andato a fuoco.
Bisognava fare qualcosa. Chiama Gerri, il quale sta rimuginando, quasi lacrime agli occhi, sulla possibile perdita del piccolo bivacco (sono sedici metri quadri) posto nel 2007 a ricordo di Emanuela Beri, morta a causa di un incidente.
Erminio e Gerri sono cacciatori. Anche se ad alcuni può sembrare paradossale rappresentano gli ultimi a vivere la montagna come si usava fino a qualche decina di anni fa. Ne conoscono la fauna, i sentieri, la flora. La amano. E soprattutto la tengono in ordine con ore di fatica: pulendola nel tempo libero, non organizzati. Come se fosse propria, pur essendo in vero di tutti.
Svegliato dal torpore della malinconia, Gerri segue Erminio: “Siamo corsi su. Non credevo ci saremmo riusciti così rapidamente. Il posto era in ordine, ma per sicurezza abbiamo tagliato a terra qualsiasi tipo di vegetazione intorno. Mi sono chiesto se portare via il quadro di Emanuela, però era come dire che il bivacco fosse condannato e allora l’ho lasciato lì”.
Chiusa la porta, i due se ne vanno. Nelle ore successive la sofferenza è tanta – soprattutto da quando le lame di fuoco compaiono alla vista di Ballabio per puntare successivamente verso la bocchetta di Desio.
Dell’impresa, nessuno sa nulla a parte le famiglie; il perché lo spiega Erminio con il suo modo asciutto: “Non siamo eroi neh, non scriva queste cose!”. Come gli sia venuto in mente di agire lo spiega così: “È normale, una cosa normale. Si doveva fare e si è fatto. Cosa c’è di straordinario?”. Nulla, se la montagna viene vissuta invece che usata.
In quanti siete andati in su per salvare il salvabile? “Ma che domande! In due, Gerri ed io, perché da solo non ce l’avrei fatta. Non c’era tempo, neppure per cercare altri”.
Due appunto, perché le buone abitudini del mondo agricolo montano si sono appannate fino quasi a scomparire. È una perdita grave, come spiega un esperto agronomo: “In generale lo spegnimento degli incendi dovrà confrontarsi sempre di più con tale aspetto. I volontari, oggi numerosi rispetto un tempo, benché bravissimi, volonterosi davvero da ringraziare, sono penalizzati dal non essere agricoltori. Chi lavora sui pendii ha un corpo maggiormente abituato a muoversi in quell’ambiente, mentre tra i nuovi volontari vi sono esperti di alpinismo, di escursionismo, attività che allenano sì alla montagna ma in maniera diversa rispetto al difficilissimo impegno dell’antincendio”.
Non si tratta solamente di abitudine a certi movimenti, c’è anche altro: “Una volta quando si vedeva il fuoco – racconta ancora l’agronomo – gli uomini partivano in gruppi alle prime avvisaglie, riuscendo spesso a risolvere il problema prima di essere diventato troppo esteso”.
Insomma, Erminio e Gerri non saranno degli eroi, ma hanno salvato l’Emanuela. Il problema è che attorno a loro e dietro non vi è quasi più nulla. Eppure così come hanno sofferto quando il fumo denso copriva e abbracciava il loro bivacco, la gioia è stata immensa sabato verso l’una ad aria limpida scoprire attraverso il cannocchiale che si era salvato sia il piccolo edificio e pure le bandierine tibetane che ne ornano l’entrata.
N. A.
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